lunedì 10 agosto 2009

VI RACCONTO IL "TERREMOTO DIMENTICATO"







































Vi racconto a modo mio il “terremoto dimenticato”
http://www.terremotodeisilenzi.it/

(versione provvisoria aggiornata al 1° ottobre 2009 ore 09,30)

Si consiglia ai lettori di questa pagina
di dare un’occhiata alle immagini dei seguenti link
e scorrere la galleria fotografica

http://picasaweb.google.com/augustanodoc/TerremotoDeiSilenzi#5329644387480624610

http://picasaweb.google.com/augustanodoc/TerremotoDeiSilenzi#


Buon giorno.
Mi chiamo Palmiro Prisutto e voglio raccontarvi una vicenda tutta italiana che può sembrare incredibile.
Sono nato ad Augusta in provincia di Siracusa nel 1954.
Attualmente vivo a Brucoli, una frazione di Augusta, dove svolgo un lavoro particolare: faccio il parroco.
Sono anche docente di religione presso un istituto tecnico della città di Augusta.
Ma sono anche un comune cittadino che, al di fuori di ogni appartenenza politica o partitica, dal 1985 si interessa delle vicende della città di Augusta e dei suoi problemi.
La città di Augusta è ormai nota a livello mondiale per alcune problematiche che la riguardano nella questione ambientale e nella questione dei rischi.
Augusta possiede uno dei più grandi porti del Mediterraneo, e qui alla fine del 1800 lo stato italiano impiantò una base della marina militare. In quel tempo l’Italia si era imbarcata, come tanti paesi europei, nell’avventura della colonizzazione dell’Africa.
Il porto di Augusta già nel 1571 aveva ospitato alla partenza la flotta cristiana che nella battaglia di Lepanto sconfisse la flotta turca arrestando l’avanzata islamica in Europa. Nel 1908 dal porto di Augusta partirono le navi russe che per prime recarono aiuto alla città di Messina distrutta dal terremoto.
Il porto di Augusta, alla fine del 1800, era quello più idoneo e più sicuro da dove far partire per la “conquista” dell’Africa uomini e mezzi.
Purtroppo la guerra fa diventare bersagli quei luoghi strategicamente importanti: Augusta lo ha sperimentato in modo particolare durante la seconda guerra mondiale.
Numerosi i bombardamenti subiti e molte le vittime. Il rischio militare è solo uno dei rischi con cui Augusta convive.
Dopo la fine della seconda guerra mondiale il porto di Augusta venne scelto da alcuni imprenditori italiani, fra cui il petroliere Angelo Moratti, per farvi sorgere i primi insediamenti chimici e petrolchimici che successivamente faranno diventare l’area circostante il porto di Augusta come il polo petrolchimico più grande e più esteso d’Europa. “Porteranno il pane” agli abitanti di una zona depressa del sud, ma è “pane avvelenato”. Chi lo sapeva, però, taceva.
Per circa quarant’anni il porto di Augusta è stata la sola discarica di tutti i reflui liquidi della zona industriale: oggi è certo che sui fondali del porto di Augusta sono sedimentati 18 milioni di metri cubi di fanghi tossici: tre metri cubi per ogni abitante della Sicilia!
E’ una bomba ecologica che da decenni sta facendo una “strage silenziosa” e lo farà anche in futuro. Discariche abusive o nascoste, smaltimento illegale di rifiuti, ininterrotte emissioni di fumi tossici, forsennato emungimento della falda hanno distrutto tutto l’ecosistema. Il 30 novembre 1990, dopo oltre un decennio di ritardi politici, Augusta venne dichiarata dal Ministero per l’ambiente “area ad alto rischio di crisi ambientale”.
Più che ad alto rischio di crisi la si può considerare “area in piena crisi ambientale”. Per tutto ciò Augusta è la città che vede morire di cancro uno su tre dei suoi abitanti;
è la città che vede nascere ogni anno un numero impressionante di bambini malformati a causa dell’inquinamento; addirittura vengono ritenuti “fortunati” quelli che non vengono fatti nascere, e quelli che, purtroppo, hanno questa “fortuna” nel reparto ostetricia dell’ospedale di Augusta sono diventati ormai la maggioranza.
Augusta è la città in cui negli anni gli incidenti industriali e sul lavoro e le condizioni ambientali hanno provocato un numero di vittime molto più alto di quello di un grave attentato terroristico. Queste vittime, però, non hanno mai avuto un riconoscimento ufficiale.
http://www.lasvolta.net/tds/index1.htm

E benché questa situazione sia nota da almeno quarant’anni, lo stato italiano, di fatto, ha deciso di non intervenire, anzi si è reso complice consapevole, di una strage che dura ormai da oltre cinquanta anni, nonostante che un piccolo gruppo di cittadini irriducibili e mai rassegnatisi al fatalismo conduca da anni una battaglia che sembra perduta già in partenza.
Ben tre sono almeno i rischi con cui gli abitanti di Augusta devono convivere: il rischio sismico, il rischio militare e il rischio industriale.

Questo territorio (AUGUSTA-PRIOLO-MELILLI), tristemente battezzato come il “triangolo della morte”, ha anche un altro record: è il territorio italiano in cui si è avuto (nel 1693) il più grave terremoto che ha colpito l’Europa in “epoca storica”.
E questo, nella storia della sismologia lo sanno tutti, così come lo sapevano - sia la comunità scientifica sia le istituzioni - nella notte del 13 dicembre 1990 all’una e ventiquattro.
Un terremoto ad Augusta non è un semplice terremoto: è qualcosa di più terribile: basterebbe rileggere le cronache scritte nel 1693 dai sopravvissuti e dai contemporanei: oltre la distruzione totale delle case, ci fu un’onda di maremoto alta 15 metri e l’esplosione della polveriera del castello fece un’ulteriore strage tra i sopravvissuti al terremoto.
I sismologi sanno bene che un terremoto come quello del 1693 in quest’area non solo è sempre possibile, ma è addirittura annunciato, ma oggi lo scenario sarebbe diverso:
Augusta non è più il piccolo centro abitato del 1693: i suoi abitanti oggi sono decine di migliaia;
nel porto di Augusta non ci sono più gli innocui velieri di legno di un tempo: oggi si sono decine di navi cariche di petrolio, di gas, di prodotti chimici; ci sono le navi militari italiane e straniere (anche a propulsione nucleare e con armamento atomico oltre che convenzionale;
attorno o a ridosso del porto di Augusta ci sono raffinerie, stabilimenti chimici e petrolchimici, centrali elettriche, una miriade di altre attività produttive legate al settore chimico, ci sono basi militari, ci sono centri abitati.
Quali potrebbero essere oggi le conseguenze di un terremoto di elevata magnitudo (come quello del 1693) seguito da una analoga onda di maremoto di 15 metri? Certamente al disastro naturale del terremoto si aggiungerebbero altri disastri addebitabili solo alla “folle competenza umana” che su questo territorio ha concentrato – e continua a farlo - tutti i rischi possibili e immaginabili.
Ecco cosa accadde nel 1693: la notte del 9 gennaio ci fu una prima forte scossa di terremoto (oggi sarebbe valutata come IX grado mercalli); poi la terra si “acquietò” dando l’illusione che tutto fosse finito. La gente - era pieno inverno - dopo il secondo giorno cominciò a rientrare stremata dentro le case martoriate, dopo aver seppellito qualche decina di morti. Ma nel pomeriggio dell’ 11 gennaio 1693 avvenne il cataclisma. XI grado Mercalli, 7.6 di magnitudo Richter. Il sisma lo avvertì tutto il Mediterraneo centrale e in particolare la Sicilia sud orientale con il tragico bilancio di circa 60.000 - 100.000 vittime. Lo chiamarono il “terremoto del Val di Noto”, perché in quel periodo la Sicilia era divisa in tre distretti amministrativi: (Val di Noto, Val di Mazara, Val Dèmone).
Questo terremoto catastrofico non è stato mai dimenticato dalle generazioni successive e costituisce anche una delle date più ricordate nella Sicilia Orientale.
Era la notte del 13 dicembre 1990: esattamente era l’una e ventiquattro minuti. Un boato e poi la terra inizia a tremare. È stato calcolato che almeno due milioni di persone quella notte sono uscite di casa terrorizzate o almeno seriamente “preoccupate” in tutta la regione Sicilia. (L’unica provincia che non ha sentito quel terremoto è stata quella di Trapani).
L’area colpita è la stessa del 1693.
È la stessa del 1848; è la stessa del 1542 e del 1169.
Sono tutti terremoti stimati tra il IX e il XI grado della scala mercalli.
Dopo la scossa dell’una e ventiquattro la terra non trema più: neanche una piccola scossa di assestamento.
Immaginiamo di trovarci a Roma, all’Istituto di nazionale geofisica.
Dopo pochi minuti, fatti i debiti rilevamenti strumentali, ne viene calcolata l’intensità e l’epicentro: e qualcuno pensa subito al 1693.
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E la preoccupazione aumenta perché anche questa volta la terra non si muove più e non si muoverà per tutto il 13, il 14, il 15 e buona parte del 16 dicembre 1990.
“Vuoi vedere che si sta ripetendo il 1693?”. A dire questo è la comunità scientifica.
Nella sala operativa della protezione civile di Roma si guardano in faccia, si chiamano gli esperti e si informa il governo: le coordinate dell’epicentro non lasciano dubbi: ci troviamo in una delle aree più sismiche d’Europa. Una zona anche a rischio di maremoto o tsunami, una zona dove esiste il più grande polo petrolchimico d’Europa.
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Mentre a Roma, ministro per la protezione civile in testa, cominciano ad organizzarsi per l’emergenza, ”temendo il peggio”,
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si stabilisce anche come dare l’informazione e soprattutto si stabilisce quali informazioni dare.
La macchina della protezione civile che in pompa magna, qualche settimana prima del sisma, aveva fatto le prove generali (SOLIDARIETA’ 90) viene fermata. https://ydagca.bay.livefilestore.com/y1pDq5myAEnjEcIKQxdNDJvKHz7rTAxQlAltsqCOdpKioL3NAGw-n-xEEii5L0B9zqOpU30YuqzfjKc5xbfB-2VShzwq1_VcD-s/cronacadi%20un%20sisma%20mai%20avvenuto.JPG
Alla comunità scientifica viene addirittura intimato l’alt.
Non è prudente mandare i soccorsi: “se arriva la seconda scossa qui moriranno anche i soccorritori”. I soccorsi con le stellette, infatti, arriveranno solo dopo la seconda scossa. (E ad Augusta di possibili soccorritori con le stellette ce n’erano già almeno duemila: il contingente locale della Marina Militare).
“Fermi tutti! Nessuno si muova: aspettiamo la seconda scossa”, si stabilisce a Roma.
A Roma si fa il punto della situazione:
governo e comunità scientifica discutono: i giornalisti premono; vogliono sapere notizie, perché già fuori dell’Italia la notizia circola.
“Se diciamo che ci sarà una seconda scossa creeremo il panico!”
“Ma se non lo diciamo ci saranno migliaia di morti!”
“Ma nella zona del sisma c’è il polo petrolchimico ed è una zona a rischio maremoto”

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“Beh, allora creiamo un po’ di confusione: diremo che:
il terremoto ha avuto l’epicentro in un'altra zona (parleremo genericamente di Val di Noto, vicino Siracusa, al largo di Catania, oppure, ancora meglio a Carlentini dove ci sono stati dei crolli e alcuni morti);
riduciamo l’entità ufficiale della scossa altrimenti “si dovrà chiudere” il polo petrolchimico;
non diciamo alla popolazione che è molto probabile una seconda scossa più forte della prima… e semmai la notizia dovesse trapelare la smentiremo anche con i tg nazionali.
Non facciamo grandi servizi ai telegiornali, nessuna edizione straordinaria, diamo il tempo minimo indispensabile per sapere solo la notizia che c’è stato il terremoto, ma soprattutto non dire e non far sapere che l’epicentro del terremoto si trova ad Augusta ….. altrimenti …..”
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“Anche il Presidente del Consiglio ed il Ministro della protezione civile saranno d’accordo …”.
Se tutto questo fosse accaduto in questi giorni, senza il ricordo del 1693, avremmo visto Berlusconi e tutto il codazzo dei politici venire qui… Invece, nel 1990, non solo non venne nessuno (tranne il ministro della protezione civile per poche ore) e durante i funerali delle vittime le autorità dello stato furono assenti: infatti la seconda scossa non era ancora avvenuta. …..
10 agosto 2009
Sac. Palmiro Prisutto
(Continua)

Oggi, e anche prima del 1990, sappiamo cosa fare in caso di terremoto:
ripararsi in casa in posti sicuri, aspettare la fine della scossa;
dopo la scossa uscire di casa portando una radio, una lampada tascabile, qualche capo di abbigliamento, qualche coperta e stare in luoghi aperti. Oggi porteremmo appresso soprattutto i telefonini.
E, una volta fuori, se sopravvissuti, avremmo dovuto ricevere “informazioni” dalla Protezione civile.
Dall’una e ventiquattro fino al primo giornale radio del mattino invece non ci venne data nessuna informazione. Supplirono a questa carenza, tra un black-out e l’altro le televisioni locali: con i loro inviati e i loro servizi, pur con tutto il caos che c’era, si capì che il sisma aveva colpito duramente ancora una volta la Sicilia sud orientale: le prime notizie che vennero fornite alla stampa furono, però, falsate: basti guardare le cartine degli epicentri dei vari quotidiani anche locali: l’epicentro era veramente ballerino; ogni giornale metteva il suo, ma una caratteristica era costante: non c’era alcun riferimento ad Augusta, dove – per alcuni giorni – cinquemila senzatetto, un terzo di tutti quelli della vasta area interessata dl sisma, “non facevano notizia”. Non è che nel caos delle prime ore eravamo stati “dimenticati” eravamo stati semplicemente “tenuti nascosti”.
Molto più comodo, per distogliere l’attenzione dal petrolchimico, far vedere le macerie di Carlentini, delle tre palazzine crollate, dei vigili del fuoco che scavavano tra le macerie;
molto più comodo far vedere il tragico scenario di Carlentini che far vedere i casermoni delle nuove case popolari e delle appena appena costruite cooperative di Augusta ridotte come dopo un bombardamento.
Un quotidiano nazionale, nei giorni seguenti, forse per trattare il sud secondo gli stereotipi di una certa informazione, scrisse: Erano case di cartone.
No, erano case di cemento armato, forse in qualche caso scadente, ma pur sempre cemento armato. Avevano resistito alla immane violenza del sisma, erano state ferite, anche in modo grave, ma avevano resistito: se fosse crollata una sola o solo due di queste costruzioni i morti sarebbero stati centinaia sotto ognuna di esse.
Si sa che nel terremoto, per essere tale, ci vogliono morti, feriti, macerie: ad Augusta non ci furono morti, ma solo qualche decina di feriti, nessun crollo ma centinaia e centinaia di case totalmente inagibili. Di tanti palazzi si vedevano solo i pilastri e l’arredamento interno: le pareti erano crollate mettendo a nudo l’intimità della casa.
La parte più colpita della città era stata la parte più nuova, pur costruita con i criteri antisismici.
Il terremoto è sempre terremoto: la sua forza è inimmaginabile e non sempre dominabile. Anche nella costruzione più perfetta talvolta non tutto viene tenuto in considerazione. Una costruzione può mai essere antisismica al 100%? Le regole valgono solo per l’edilizia privata o anche per quella pubblica? Oppure valgono anche per una particolare tipologia di costruzione?
Chiediamoci, per esempio, a proposito del polo petrolchimico di Augusta: è stato costruito con criteri antisismici?
Ma com’è stato possibile far nascere un polo petrolchimico così esteso su un’area sismica di primo grado? Tutti oggi direbbero NO, ma intanto l’hanno costruito e, perfino, ingrandito;
è stato tenuto presente che cosa potrebbe fare un’onda di maremoto ad un polo petrolchimico con i suoi pontili, serbatoi, ecc, che si trova in riva al mare? Probabilmente nessuno ci ha pensato, ma il 13 dicembre 1990 sono stati tanti a dire: “Anche stavolta è andata bene”.
Assurdamente il piano di protezione civile di Augusta aveva previsto che l’evacuazione degli abitanti di Augusta sarebbe stata possibile anche via mare: erano previste – ma non sono state mai realizzate - banchine per gli imbarchi: anche in questo caso il redattore del piano aveva dimenticato che sono stati ben cinque i maremoti sicuri nella storia di Augusta.
Chi non ricorda le immagini della distruzione provocate dallo tsunami del 26 dicembre 2004? (e quello del 29 settembre 2009 delle Isole Samoa?)
Ricordando anche quanto accaduto nella tranquilla Viareggio lo scorso 29 giugno 2009, cosa potrebbe accadere nell’area portuale di Augusta?, la Erg e la Shell, - le società che vogliono realizzare contro la volontà popolare un rigassificatore nel porto di Augusta - nella loro cecità mentale causata dalla cultura del profitto, ci potrebbero rispondere: “Nulla”.
Ecco perché sono impegnati ad ogni costo a realizzare nell’area portuale di Augusta un rigassificatore che alla Sicilia non serve. Un rischio in più, ma che, in caso di incidente, coinvolgerebbe, per strana coincidenza, la stessa area colpita dal terremoto del 1990. Non posso dimenticare quella frase del 1693 che qui vi riporto:
“Da sempre gli uomini e gli elementi avean congiurato di travagliare la sempre desolata Augusta, e funestissimo più d’ogni altro fu l’anno 1693 ….”
Prima gli uomini (politici e amministratori) e poi gli elementi (=le catastrofi naturali). Le catastrofi naturali non si possono evitare, ma se le conseguenze di esse sono aggravate dall’insipienza umana… …. Gli uomini. Tante tragedie hanno la loro radice proprio nelle assurde decisioni degli uomini.
Due delle cose poco note del terremoto del 1990 hanno a che fare col mare:
la prima:
in seguito al sisma la costa di Augusta è stata investita da un’onda “anomala” dell’altezza di circa un metro e mezzo… E se fosse stata di tre o cinque metri? In questo caso il quartiere Borgata, già devastato dal sisma sarebbe stato invaso dall’acqua rendendo inutile ogni tentativo di fuga dalla città; gli ampi spazi di questo quartiere che ospitò le auto dove per alcune notti dormirono gli scampati al terremoto sarebbero stati lo scenario di un’altra tragedia.
La seconda:
lo sprofondamento di circa un metro della zolla su cui sorge la città di Augusta. La scogliera di levante e la costa di ponente non sono più quelle di prima del terremoto. Le foto in mio possesso scattate prima e dopo il sisma del 1990 ne sono una prova.
In termini poveri significa che se dovesse ripetersi un sisma uguale a quello del 1990 tutto il quartiere Borgata, dal Granatello e dal lungomare Rossini sino ai quartieri della zona Fontana sarebbero anche a rischio inondazione, sperando sempre che non si ripeta il 1693. Contro un’onda di “trenta cubiti”, cioè quindici metri ci sarà ben poco da fare.
13 agosto 2009
Sac. Prisutto Palmiro

(Continua)

Ecco una delle grandi paure della commissione Grandi Rischi della Protezione Civile nella notte del “terremoto di S. Lucia”: al terremoto poteva succedere il maremoto. Si poteva dare questa notizia alle popolazioni della Sicilia orientale già in preda al panico dopo la scossa dell’una e 24? Si poteva dir loro che nel caso di una seconda scossa sarebbe potuto accadere anche questo? Si potevano mandare i soccorsi? Ma quante sono oggi le città che sorgono sul mare lungo la costa orientale della Sicilia?

Ecco alcuni racconti dei nostri bisnonni sull’ultimo maremoto che ha colpito il territorio di Augusta.
Era il 28 dicembre 1908: il terremoto di Messina e susseguente maremoto. Il maremoto non interessò solo l’area dello Stretto, ma tutta la Sicilia orientale. A Brucoli, la città dove attualmente risiedo, l’onda proveniente dallo Stretto è arrivata con un’altezza di circa sei metri. L’acqua ha invaso e superato le ripide balze del porto canale di Brucoli distruggendo barche e pescherecci, ha inondato le strade dell’abitato, ha toccato perfino i gradini della chiesa. Eppure l’epicentro del terremoto si trovava ad “appena” 150 chilometri di distanza.
Ad Augusta un altro racconto: dapprima il livello del mare si è abbassato lasciando in secca centinaia di metri di fondale, poi l’onda si è alzata penetrando nella terraferma nella zona oggi denominata “Fontana” dove non c’erano abitazioni ma solo saline: durante il suo avanzare l’onda ha incontrato l’argine delle saline su cui era collocata la ferrovia. http://picasaweb.google.com/augustanodoc/TerremotoDeiSilenzi#5329638340614211554
Dopo il ritiro dell’acqua l’argine era stato “inghiottito” e della ferrovia erano rimasti solo i binari e le traversine che penzolavano. Nella zona urbanizzata oggi chiamata “Paradiso o Terravecchia” allora, per fortuna, non c’erano case.
In questi giorni, navigando in questo sito, dall’Argentina l’anziano figlio di una emigrata augustana, ricordando il 1908, mi ha scritto: “Mia madre quando ero piccolo mi raccontava: doppu u tirrimotu si nni vinni u mari”.
Di sicuro, in questi anni, chi ha dato pareri favorevoli ai nuovi insediamenti industriali (=RIGASSIFICATORE) non ha tenuto conto di questo fattore.

Ma proviamo a immaginare anche che cosa potrebbe succedere ad Augusta oggi in caso di terremoto in cui venisse coinvolta anche la zona industriale: forse qualcuno ha già dimenticato due analoghi precedenti avvenuti dopo il 1990: Turchia (Izmit agosto 1999) e Giappone (Hokkaido settembre 2003).
link
Lì il terremoto ha colpito zone in cui esistevano delle raffinerie: in seguito al sisma si sono sviluppati degli incendi: al disastro del terremoto si è unito il disastro ambientale.
Il terremoto potrebbe far collassare le strutture del petrolchimico magari innescando incendi ed esplosioni ad “effetto domino” o sprigionando una nube tossica. Chi non ricorda le cinque esplosioni dell’ICAM del 19 maggio 1985 quando il cielo si illuminò a giorno alle 23,25?
http://terremotodeisilenzi.blogspot.com/2009/05/19-maggio-1985-la-notte-dellicam.html
http://www.lasvolta.net/augusta_icam85.htm

In caso di nube tossica si raccomanda di chiudersi in casa, sigillare porte e finestre …. Ma dopo un terremoto, in caso di nube tossica ad Augusta si potrebbe rimanere in casa? Idrogeno, cloro, ammoniaca, gpl, sono soltanto alcune delle sostanze pericolose lavorate o presenti nell’area industriale Augusta-Priolo-Melilli.
Il terremoto del 1693 fu causa indiretta di un’altra strage: l’esplosione della polveriera del castello ne uccise altri 800 che pur erano sopravvissuti al terremoto. Oggi la polveriera potrebbe identificarsi col polo industriale. Ma il 13 dicembre 1990 si poteva dire alla popolazione sfuggita al terremoto: potrebbe saltare in aria da un momento all’altro la zona industriale? A Roma lo sapevano, ma ad Augusta la notizia “non si doveva sapere”.

Eppure la notizia riuscì a “trapelare” oppure fu fatta trapelare da qualcuno che aveva un po’ di coscienza. Il 15 dicembre 1990 nella tarda mattina ad Augusta cominciarono a passare le auto della polizia di stato e dei vigili urbani a tentare di tranquillizzare con gli altoparlanti la popolazione: “hanno messo in giro la voce che ci sarà una seconda scossa; non credete a questi sciacalli”.
In questa circostanza il vero sciacallo fu lo stato.
Zamberletti, uno dei ministri per la protezione civile prima del 1990, più di una volta aveva detto che se fosse avvenuto un terremoto di una certa intensità nel nostro territorio avrebbe fatto decine di migliaia di vittime. Anche un altro scienziato, Franco Barberi, altro celebre sismologo) aveva detto la stessa cosa. E dopo il terremoto ci considerò “fortunati”.
Si era sparsa anche la voce che migliaia di bare erano state fatte affluire: chi diceva a Reggio Calabria, chi a Palermo, chi a Sigonella. Era vero?
Forse dalla sede nazionale della protezione civile qualcuno non se la sentì di tacere sulla scossa in arrivo e mise in allarme qualche conoscente della zona.
L’allarme si era così diffuso che dovette intervenire perfino il Tg1 nazionale delle ore 13,30 a smentire l’arrivo della paventata replica. Secondo il piano di protezione civile ad Augusta avrebbero dovuto essere già stati installati gli altoparlanti di grande portata…, quelli con cui avrebbero dovuto avvisare la popolazione in caso di incidente. Nei notiziari nazionali intanto il nome della città di Augusta era appena appena sussurrato, ma solo dopo due giorni quando non era più possibile nasconderlo.
Ma la seconda scossa ci fu?
Sì, alle 14,50 di domenica 16 dicembre 1990. Fu più leggera e più breve di quella temuta. Ma solo dopo quella scossa ministri e scienziati tirarono un “sospiro di sollievo”. E la popolazione? Beh, quella poteva essere sacrificata per “ragion di stato” e soprattutto perché all’Italia erano più utili le raffinerie e, soprattutto, le accise sulla benzina. D’altronde, tutt’ora, gli abitanti di Augusta – Priolo – Melilli sono considerati solo “mano d’opera” e “carne da macello”. Per quel tozzo di pane avvelenato tacciono, subiscono il ricatto occupazionale, non protestano neanche per chiedere la monetizzazione del rischio. A “nome loro” (o per il loro tornaconto) politici e sindacati chiedono altre “fabbriche di morte” in aggiunta a quelle che già ci sono.

http://www.terremotodeisilenzi.it/index.php?option=com_content&view=article&id=48&Itemid=55


18 agosto 2009
Sac. Prisutto Palmiro

(Continua)

Non è difficile capire perchè sul terremoto di Augusta fu stesa subito una cappa di silenzio: quella del silenzio di stato.
Ad Augusta e agli Augustani in particolare, questo strano silenzio su di essa, questo epicentro ballerino, questa assenza dello stato furono subito notati.
Lo stato, però, che a quell’epoca era nelle mani di un tale Giulio Andreotti, si rese presente alcuni giorni dopo il terremoto con un suo delegato dal nome strano: Alvaro Gomez y Paloma, un nome che ci rinviava all’epoca dei Conquistadores. Suo compito era quello di tutelare primariamente gli interessi economici dello stato, poi quello di gestire l’emergenza nella maniera meno traumatica possibile. I terremotati erano siciliani non italiani: erano cittadini di serie B anche di fronte alla calamità; la Sicilia era una “colonia” non una regione dell’Italia.
Caso unico nella storia repubblicana, a seguito di questo terremoto, non venne mai dichiarato lo stato di calamità naturale nella zona devastata dal terremoto che, nel frattempo, si era estesa anche alle due province confinanti: Ragusa e Catania.
Come succede spesso, dopo la sciagura spuntano sciacalli ed avvoltoi, c’è chi perde tutto e c’è chi si arricchisce. Noi abbiamo avuto il terremoto e gli altri hanno avuto i soldi, anche perché la provincia di Siracusa non ha mai avuto politici veramente degni di tale nome.
http://picasaweb.google.com/augustanodoc/TerremotoDeiSilenzi#5329638067867173282

La gente si aspettava solidarietà e voleva sapere tante cose sul terremoto e sul dopo terremoto. La ragion di stato prevalse con il “silenzio di stato” sul terremoto. Riporto due testimonianze:
Il Gen. dell’esercito Monsutti, in una intervista di quei giorni al tg3 dichiarava:
…. Il terremoto del Friuli è stato un terremoto molto più intenso e purtroppo è stato un terremoto che ha colpito molto profondamente e se n’è vista subito la gravità.
In questo terremoto invece è sembrato, almeno inizialmente, dalle informazioni che pervenivano lungo la catena responsabile, sembrava un terremoto di piccola entità.
Ci sono stati purtroppo dei morti, ma non è stato un terremoto che potesse, diciamo così, scuotere o suscitare degli interventi massicci...
D.
Quindi c’è stata una sottovalutazione da parte dei responsabili della protezione civile?
R.
Ma non direi neanche questo.
Tutti i responsabili si sono resi conto gradualmente a mano a mano che l’informazione poteva espandersi, e si poteva conoscere quali erano i danni, soprattutto i danni e le lesioni alle abitazioni e ai fabbricati che determinate abitazioni e determinati fabbricati dovevano essere sgomberati e la popolazione doveva essere sistemata diversamente
in tende, in roulottes oppure in prefabbricati com’ è che si sta facendo

D.
Quanti prefabbricati state montando?
R.
Sono… stiamo montando 50 prefabbricati. Sono tutti arrivati. Dieci sono già pronti nell’area di Carlentini subito dopo il campo sportivo gli altri sono in corso di montaggio

Il sismologo Enzo Boschi:
Il governo ci invitò, come comunità scientifica, a non andare nella zona terremotata dopo l’evento perché la popolazione si sarebbe sicuramente allarmata…. Io ci andai lo stesso a livello personale.
Appena cominciarono ad arrivare in zona i primi rappresentanti della comunità scientifica, - perché di politici nazionali, all’inizio, non se ne vide neanche l’ombra – non perse occasione di chiedere notizie più precise e meno evasive su quanto accaduto la notte di S. Lucia:
a denti stretti, gli scienziati ammisero che l’informazione era stata “pilotata” per le preoccupazioni sopra dette.
Lo stesso Prof. Boschi, nell’assemblea del 6 gennaio 1991 ad Augusta, alla quale parteciparono circa seimila persone, disse che l’epicentro era stato vicino a ……… Siracusa: un “lapsus” subito corretto con … Augusta. Di questo abbiamo perfino le immagini registrate.
E così il terremoto del 1990 divenne “il terremoto di Carlentini”, il terremoto di Santa Lucia, il terremoto dimenticato, il terremoto fantasma, il terremotino*, il terremoto infinito, il terremoto scomparso, il terremoto censurato, ed anche … il terremoto dei silenzi. Nel mese di settembre 1991, addirittura, nell’aula di Montecitorio divenne il terremoto “inventato”. Un esponente probabilmente “nordista”, l’On. Forte, del vecchio PSI (partito socialista italiano) durante la discussione sulla legge finanziaria, parlò di terremoto inventato: non sapeva che in Sicilia c’era stato un terremoto! Fatto assai più grave che un certo On. Foti, democristiano siracusano, allora sottosegretario al ministero del tesoro, non intervenne neanche per difendere i diritti dei suoi conterranei e concittadini.
Oggi, lo abbiamo visto in occasione dei terremoti dell’Umbria, del Molise e dell’Abruzzo, se la tv e i grandi mezzi d’informazione accendono i riflettori sulla tragedia, insieme all’informazione si sviluppa la solidarietà. Ma spenti i riflettori si esaurisce anche l’ondata di solidarietà. In Sicilia, nel 1990, si prese la decisione di non accendere i riflettori e, perfino, di “oscurare” la verità e il risultato fu quello che la gara di solidarietà non ebbe mai inizio. Basterebbe anche rivedere i servizi al telegiornale e cronometrare i tempi della notizia: tempo massimo cinque minuti nei primi tre giorni.
Per altri terremoti e altre calamità, però, eravamo stati considerati come “italiani”; basti pensare che anche noi siciliani ancora paghiamo le accise sul prezzo della benzina, anche noi abbiamo pagato le una tantum per le altre calamità: per i terremotati siciliani del 1990 non ci fu nessuna partita del cuore e nessun concerto di solidarietà.
Per noi nulla di tutto questo, ma se qualcosa lo stato ci ha dato è stata solo l’elemosina

http://www.lasvolta.net/tds/index1.htm

per una ricostruzione parziale. E questo è stato possibile solo perché alla fine di ottobre 1991, dieci mesi dopo il sisma, i terremotati esasperati e disperati, riuscirono a farsi sentire bloccando ad oltranza il porto*

http://www.lasvolta.net/tds/index1.htm

di Augusta e a paralizzare la viabilità dell’intera provincia. Porto, strade e ferrovie andarono in tilt per la protesta. Ma con la protesta si interruppero pure i rifornimenti di carburante all’Italia e nelle casse dell’erario cominciarono a diminuire anche le entrate. Pochi sanno in Italia che dal porto di Augusta passa quasi la metà dei prodotti petroliferi italiani e che lo stato incassa, oggi, dal porto di Augusta circa 18 miliardi di euro, l’equivalente di una legge finanziaria media.
http://picasaweb.google.com/augustanodoc/TerremotoDeiSilenzi#5329639358975569650

Non erano bastate le proteste del 21 dicembre 1990,
http://picasaweb.google.com/augustanodoc/TerremotoDeiSilenzi#5329638023818313634
del gennaio 1991, del 31 marzo 1991, del 29 maggio 1991.
http://picasaweb.google.com/augustanodoc/TerremotoDeiSilenzi#5329638036622455746
Le istituzioni avevano seguito la “strategia del faraone con Mosè”: “fermate la protesta (=nel caso di Mosè le famose dieci piaghe d’Egitto) e avrete ciò che chiedete” e terminata la protesta il faraone si rimangiava la parola data.
Le giuste “barricate” dell’ottobre 1991 valsero a ottenere la legge e i fondi per la ricostruzione: un’elemosina. Quella stessa somma che lo stato italiano aveva promesso di elargire in sei anni per la ricostruzione, il porto di Augusta, per lo stato, la produceva in soli tre mesi! I fondi stanziati dallo stato per la ricostruzione sono paragonabili alla misera elemosina presa dai proventi di una rapina! Ma in questo caso il rapinatore è lo stato, ed il povero, paradossalmente è il rapinato stesso. Di questo lo stato italiano si deve vergognare.
Oggi, quasi vent’anni dopo il terremoto, ad Augusta, la ricostruzione non è ancora finita, e in qualche caso nemmeno iniziata, mentre altre calamità avvenute dopo il terremoto del 1990 hanno avuto quasi delle corsie preferenziali.
In quegli anni, nel mondo politico italiano, si era coniata una nuova espressione: la “par condicio”. E in Italia si continuava a cantare “Fratelli d’Italia”.
Questo spirito di fratellanza e questa “par condicio” non hanno trovato applicazione nella gestione del terremoto del 1990.

22 agosto 2009
Sac. Prisutto Palmiro
(continua)

Subito dopo un terremoto la vita cambia radicalmente, soprattutto se non c’è un aiuto esterno.
La gente è sotto shock; ha paura a rientrare nelle case, se queste non sono crollate. Prima andavi in bagno quando volevi, aprivi il frigorifero, cucinavi, facevi la spesa, andavi a letto.
Dopo il terremoto non hai dove andare in bagno, non puoi cucinare, il mercato è sospeso, il forno è chiuso e l’intimità della casa non esiste più. Tutto quello che era normale non ce l’hai più.
Magari, come ha fatto gran parte di noi se hai ancora la macchina ci dormi dentro qualche notte. La notte seguente il terremoto si mise anche a piovere. La macchina è il tuo unico tetto. Ci dormi, avvolto in qualche coperta, con la famiglia… in attesa della tenda della protezione civile o del prefabbricato.
Ma può capitare che perdi anche la macchina o che questa resti incastrata dentro il garage ….

Ma se il terremoto ha provocato crolli, oltre a tutto questo, devi anche provvedere a estrarre i feriti dalle macerie, devi seppellire i morti, devi provvedere al cibo, al vestito, … non puoi aspettare i soccorsi.
La vita è sconvolta.
Cinquemila, furono nella sola Augusta i senzatetto veri. Quindicimila, tra veri e presunti, nelle tre province dichiarate terremotate.
Nella disgrazia la sorte ci fu propizia: il “progresso”, cioè l’industrializzazione, aveva consentito a tanti Augustani di possedere una seconda casa in campagna o al mare: costituirono l’immediata soluzione al problema di tanti senzatetto. Poi c’erano degli alberghi: questi furono “requisiti” dal sindaco e vi furono allocati complessivamente circa duemila senzatetto. In 24 ore avevano trovato una soluzione alla mancanza della casa. Il dramma era più evidente, invece, per la fascia povera della popolazione: gran parte delle case popolari erano inagibili. Li vicino, ancora incompleto, c’era il “tensostatico”. Avrebbe dovuto ospitare le manifestazioni sportive. La polizia tranciò i lucchetti e la gente vi si riversò: divenne un enorme dormitorio anche se promiscuo. Gli altri si accomodarono presso parenti e amici. Nella disgrazia “a casa capi quantu vuoli u patruni”.
All’interno del tensostatico, tre settimane dopo il sisma, svanita la paura della seconda scossa, il prof. Boschi ed altri scienziati, parlarono del terremoto ad una assemblea di oltre seimila persone. (probabilmente sarà stata l’assemblea più affollata della storia d’Italia, dopo un terremoto).
A Carlentini, a Melilli, a Lentini, dopo alcuni giorni furono allestite le tendopoli: ad Augusta non ce ne fu bisogno.
La protezione civile, qualche giorno dopo fornì qualche decina di roulottes che popolarono le campagne di Augusta.
Nella zona industriale Augusta-Priolo c’era un’azienda attrezzata nella fornitura di migliaia di pasti: senza aspettare alcuna risposta dallo stato l’amministrazione locale, in attesa dell’arrivo delle cucine da campo dell’esercito, la fece intervenire nello stesso giorno del terremoto. Lo stato era ancora assente, ma soprattutto silente. Augusta faceva fronte, da sola, all’assenza dello stato.
01 ottobre 2009
Sac. Prisutto Palmiro
(continua)

sabato 1 agosto 2009

IL TERREMOTO TI FERISCE LA BUROCRAZIA TI UCCIDE




Se il terremoto riesce solo a ferirti allora ti uccide la burocrazia.

Sono trascorsi “solo” 19 anni e 8 mesi dal terremoto del 1990.
Nell’anno 2000, dieci anni dopo il terremoto, quattro anni dopo “l’interessamento diretto” del Presidente della Repubblica Scalfaro riguardo alla ricostruzione post-terremoto in Sicilia, il Santuario della Madonna dell’Adonai di Brucoli vedeva il primo intervento (la messa in sicurezza). Solitamente la “messa in sicurezza” è un intervento chi si fa d’urgenza poche ore o pochi giorni dopo il sisma. L’allora Genio civile di Siracusa, sempre nel 2000) fece rifare interamente il tetto del santuario, fece puntellare la chiesa e la sagrestia del Santuario Adonai in attesa del restauro definitivo. L’Italia, ormai lo sappiamo bene è l’unico paese “civile" in cui il provvisorio diventa definitivo; l’Italia è l’unico paese civile dove la rassegnazione dei cittadini è l’unica risposta alla lontananza delle istituzioni; l’Italia è l’unico paese civile al mondo in cui al cittadino che chiede il rispetto del diritto o non si risponde affatto oppure si aspetta che questo si stanchi e desista dalle sue iniziative.
Se poi si ha la sfortuna di vivere nel sud, ed in Sicilia in particolare, allora puoi aspettare decenni (vedi Belice) o secoli (Messina).
La Sicilia è la Sicilia (non è il Friuli, non è l’Umbria, non è il Molise nè l’Abruzzo): qui, i tempi della ricostruzione post terremoto non possono essere uguali a quelli delle altre regioni italiane: Messina, il Belice, Augusta, S. Venerina, solo per citare le ferite ancora aperte, attendono e potranno attendere non sappiamo quanto.
A Brucoli, il terremoto del 1990 provocò danni ad edifici privati, ad edifici storici (chiesa di San Nicola e Santuario Adonai), ad edifici pubblici (stazione ferroviaria). A quest’ultima toccò in sorte non di essere ricostruita, ma addirittura di essere demolita per sempre ed essere perfino abolita.
A Brucoli gli edifici privati furono riparati dopo qualche anno, mentre per le chiese i tempi hanno superato abbondantemente il decennio: la chiesa di San Nicola a Brucoli è stata riaperta definitivamente solo quattordici anni e undici mesi dopo il sisma.
Il Santuario della Madonna di Adonai invece ha una storia diversa: uscì totalmente indenne dall’immane terremoto dell’11 gennaio 1693; resistette bene al terremoto dell’11 gennaio 1848; rimase “ferito” in quello del 13 dicembre 1990. Oggi, quasi vent’anni dopo il sisma e dopo 17 mesi di lavoro per il restauro è ancora chiuso. Il collaudo è iniziato solo tredici mesi dalla fine dei lavori ed è ancora “in corso”. Probabilmente i tempi del collaudo saranno più lunghi del tempo dei lavori effettivi di restauro. Ma per fortuna – non per i siciliani – per 20.000 superstiti dell’ultimo terremoto “italiano” (l’Abruzzo) le case saranno pronte ed abitate entro sei mesi; quindicimila terremotati siciliani del 1990 hanno dovuto attendere un decennio ed alcuni addirittura diciassette anni: per restauro del Santuario di Brucoli fino ad oggi sta battendo ogni record: non sono i lavori (per’altro già “finiti”) a tenerlo chiuso ma la burocrazia.
Il record lo batteranno senz’altro due altri edifici di Augusta ancora terremotati: il palazzo comunale di Augusta e la chiesa del cimitero: l’uno perché avrà bisogno di altri finanziamenti per essere completato e l’altra perché dopo il puntellamento dei giorni successivi al sisma fu veramente “dimenticata”. A quasi vent’anni dal terremoto nessun altro intervento.
Personalmente di terremoti accaduti in Italia e in Sicilia, nell’arco della mia vita, ne ricordo molti: oltre quelli già citati mi ricordo del terremoto di Patti, di Zafferana, di Mazara, di Pollina, di Palermo. (Probabilmente molti siciliani li hanno già dimenticati, ma solo per non averli vissuti). Chi un terremoto l’ha vissuto e rimane terremotato per quasi vent’anni non può dimenticare. E diventa inevitabile confrontare il proprio terremoto con quello degli altri.
Sempre (e subito) dopo ogni terremoto si è parlato di ricostruzione (e solidarietà fin quando i riflettori dei media rimangono accesi) e, sempre con i soliti medesimi aggettivi: rapida, trasparente, intelligente, mirata, ecc….
In questi due decenni, considerati i risultati, di questi aggettivi il significato è cambiato o è da cambiare:
la rapidità è stata quella dei tecnici di accaparrarsi i progetti di restauro con relativi oneri ed onori;
la trasparenza è stata quella di “non far vedere” (=non eseguire) la ricostruzione per anni;
l’intelligenza è stata quella di portare le cose alle lunghe quanto più è possibile;
la “mira” è stata quella di burocratizzare al massimo la ricostruzione al fine di gonfiare le spese e di esasperare i terremotati con l’unico scopo di farli diventare utili elettori, non per una ma per quattro, cinque ed anche più legislature.
Intanto per l’ultimo terremoto italiano il premier ha “profetizzato” che la ricostruzione avverrà nell’arco di una sola legislatura. Il mio pensiero l’ho già espresso. Chissà cosa ne pensano gli altri terremotati d’Italia che aspettano da decenni.
Immagino che a Messina, nel Belice e in Irpinia, anche se la terra non trema più, quando si sente la parola ricostruzione ancora una volta il cuore dei terremotati frema di una rabbia più che giusta.
A questo, purtroppo, dobbiamo aggiungere il fatto che, ormai in Italia, ogni forma di protesta “sensibile” è stata criminalizzata, mentre al contrario chi costringe i cittadini a protestare (e spesso sono le stesse istituzioni dello stato) è addirittura lautamente stipendiato.
E’ probabile che anche questa lettera non ottenga risposta.
E allora? ….. siamo veramente in Italia!
Brucoli, 1° agosto 2009
Sac. Prisutto Palmiro