giovedì 21 maggio 2009

13 dicembre 1990: cronache del terremoto scomparso

45 lunghissimi secondi

Pino Finocchiaro

Catania
Era l'una, 24 primi, 34 secondi e 45 centesimi quando si è scatenato l'inferno.
La terra ha vibrato per otto minuti, anche se sono state avvertite dalla popolazione soltanto 40-45 secondi.
E in quegli attimi si preparava già la macchina della protezione civile.
Il prefetto (di CT) Corrado Scivoletto è stato svegliato dallo schianto del grande lampadario di cristallo che ornava la stanza adiacente alla camera da letto di villa Letizia.
A casa di Silvestro Menza, il sismologo dell'osservatorio di Acireale, ha preso a squillare il telefono, ma nessuno ci ha badato. Le mura, i vetri e le suppellettili vibravano ancora. Nessuno ha alzato la cornetta di quel telefono collegato al segnale d'emergenza collegato ai cinque sismografi del collegio Pennisi.
Silvestro si è precipitato al centro di osservazione mentre la gente scappava di casa e , insieme con Rosario Basile si è trovato davanti la traccia di quel terremoto lunga quanto basta a coprire otto tacche, ognuna segnante il trascorrere di 60 secondi.
Al centro di protezione civile di Acireale si incrociano i dati, mentre giungono notizie contraddittorie sull'esito del terremoto del Siracusano. Solo verso le due, le prime squadre dei vigili del fuoco, della croce rossa si muovono con l'obiettivo di rimuovere ballatoi e muri pericolanti, ma la realtà che attende le squadre guidate dal capitano Enzo Andò è tragica, dovranno scavare per ore e ore, sottraendo alle macerie feriti e cadaveri.

Le prime contestazioni riguardano i dati ufficiali forniti dall'istituto nazionale di geofisica quanto alla localizzazione dell'epicentro al largo del Golfo di Noto.Non hanno un numero adeguato di sismografi per calcolare in maniera attendibile la localizzazione - dicono al Pennini - figuriamoci la profondità.
All'istituto internazionale di vulcanologia il vicedirettore Giovanni Frazzetto può ubicare con certezza l'epicentro dieci chilometri ad est di Augusta ma non può ancora farlo per l’ipocentro (ovvero il punto esatto all'interno della crosta terrestre dal quale si è liberata l'energia): “Dobbiamo confrontare i dati con quelli provenienti dalla Grecia, comunque si tratta di un fenomeno che si è prodotto ben oltre i dieci chilometri di profondità, anche la macrosismica conferma la prossimità con la costa di Augusta”.
Purtroppo si ripete anche all'istituto italiano di Vulcanologia il problema di convogliare i dati reperiti da più parti. È la solita storia: si rifilano due o tre sismografi qui altri due lì ,ma non si fa nulla per connetterli in rete e ottenere dei dati fisici attendibili sull'esatta consistenza.
Al mattino, Nello Imposa, ricercatore dell'istituto dei geofisica e geodinamica, ci mostra il terremoto alla “moviola.
Il computer analizza le componenti orizzontali, verticali e longitudinali della massa di energia in movimento nelle viscere della terra.
Anche il computer dell'università smentisce clamorosamente i primi dati. L'energia del sisma si è liberata a soli 36 chilometri da Catania (Augusta!): diventano chiari i motivi della catastrofe che si è abbattuta su Carlentini e il Calatino, che ha messo in ginocchio la praticabilità degli edifici pubblici del capoluogo etneo.
“Potrebbe trattarsi della risposta, in termini geodinamici, al terremoto del Canale di Sicilia del mese scorso - spiega il professore Giuseppe Patanè, docente di geodinamica, direttore scientifico dell'osservatorio di Acireale - e ciò spiegherebbe il motivo per cui il sisma è avvenuto proprio a Carlentini. Se osserviamo uno schema che correa una nostra pubblicazione del 1987, i nostri studi ci portavano a collocare una “barriera di rilassamentoproprio lungo il territorio di Carlentini”.
Purtroppo le pubblicazioni di Geodinamica non sono lette per nulla negli uffici tecnici dei comuni e neppure dagli organi di vigilanza della regione che, piuttosto, nel settore della sorveglianza antisismica può vantare una antica e intemerata latitanza. Da anni si promettono interventi organici, centri di scienza e di eccellenza scientifica. Ma la realtà è poi sempre la stessa. A spiegarci come vanno realmente le cose non restano che un manipolo di ricercatori e qualche scienziato scomodo, come quel Giuseppe Patanè che due anni fa giunse a prevedere il terremoto di Piano d’Api, allora, come oggi, inascoltato.


Hanno agito entrambe onde P e onde S

Acireale
Quando un volontario della protezione civile chiede “E’ un terremoto di tipo ondulatorio o sussultorio?, il tecnico gira le spalle e non nasconde una smorfia.
In effetti questa vecchia terminologia trae facilmente in inganno.
“Ogni terremoto - spiega pazientemente Silvestro Menza - possiede sia una componente verticale che una orizzontale. Inoltre dobbiamo saper distinguere tra le varie componenti del moto.
Per dare un'idea potremmo dire che le cosiddette onde P hanno un movimento trasversale e si comportano pressoché come una molla, mentre le onde S hanno un andamento trasversale, ovvero si diffondono prevalentemente come accadde ad una corda di chitarra quando viene percossa.
Più siamo vicini al meccanismo focale, quello dal quale si esplicherà il terremoto, è più alta sarà l'incidenza di onde p con andamento prevalentemente verticale; il boato che si avverte spesso in prossimità dell'epicentro è dovuto proprio alla propagazione di alcune di queste onde la cui frequenza viene percepita distintamente dall'orecchio umano. Ma mano che ci si allontana aumenta invece la componente S e l'andamento è prevalentemente orizzontale".
-Nel caso di questo terremoto?
“Possiamo dire che hanno agito sia le onde P che S. In che misura lo stabiliranno gli studi successivi.
Pino Finocchiaro

13 dicembre 1990: cronache del terremoto scomparso

14 dicembre 1990 Gazzetta del Sud

Gravi lesioni a numerosi edifici dei quartieri nuovi, migliaia i disastrati

Devastata Augusta nord


AUGUSTA - Dopo la notte di terrore e di panico provocata dal disastroso terremoto che ha sconvolto la Sicilia sud-orientale e che ha causato la morte di numerosi abitanti di Carlentini fra i quali tre augustanesi che si erano trasferiti nel vicino centro, Augusta ieri ha provato a fare un primo bilancio dei danni che si stanno rivelando, con il passare del tempo, molto più gravi di quanto si temesse.
Dalle notizie pervenute all'Ufficio tecnico comunale, dove a causa dell'inagibilità del Palazzo di città, fortemente danneggiato, si è insediato il comitato di Protezione civile, presieduto dal sindaco Carmelo Tringali Augusta ha subito danni gravi, specialmente alle abitazioni della zona nord della città, cioè in quei quartieri prima identificati nel rione Borgata. Stranamente il sisma ha causato i maggiori danni nei nuovi quartieri, colpendo con particolare violenza complessi di edilizia economica e popolare, resi inagibili ed inabitabili per centinaia di famiglie. Nel centro storico, invece, i danni sono anche gravi, ma non quanto quelli arrecati alla zona nuova.
Per fortuna non ci sono stati crolli totali. Le strutture in cemento armato hanno resistito all'urto del movimento tellurico, ma altri palazzi hanno visto gravemente lesionate le pareti esterne o quelle divisorie degli appartamenti. Secondo le prime cifre sono almeno 700 le famiglie di senza tetto, mentre i danni ammonterebbero a svariate decine di miliardi. Più del 60% delle nuove costruzioni di Augusta nord può considerarsi, a detta degli esperti, totalmente inagibile.
Se per quanto riguarda il ripristino dell'abitabilità degli edifici lesionati le misure da adottare non potranno essere immediate, in quanto hanno bisogno di programmazione e finanziamenti, è urgente invece il bisogno di trovare una soluzione rapida per oltre duemila cittadini che si sono trovati impossibilitati a tornare a casa propria. E tempestivo è stato l'intervento dell'amministrazione comunale, e del sindaco Tringali validamente collaborato dagli addetti al servizio di Protezione civile.
Conosciuto il numero dei senzatetto, il sindaco infatti ha proceduto alla requisizione dell'Hotel «Villaggio Valtur» di Brucoli, dotato di mille posti letto, del complesso turistico alberghiero «Acquasanta» di Monte Tauro di Augusta con 140 posti e dell’Hotel «Villa dei Cesari» di Augusta con altri 40 posti dove, dalle prime ore di ieri pomeriggio, sono sistemati i cittadini in prevalenza fatti evacuare dalle case pericolanti e concentrati nel pallone tensostatico in allestimento nei pressi delle zone più colpite dal sisma. Nei riguardi dei senzatetto, è stata disposta ieri pomeriggio la distribuzione di pasti caldi.
Gli abitanti dell'isola intanto in questa occasione hanno dovuto fronteggiare grandi difficoltà per tentare di dirigersi verso luoghi più sicuri, a causa della mancanza del secondo ponte di accesso, richiesto da oltre vent'anni, e ancora in costruzione. Per il resto, la città è semiparalizzata dalla paura.
Molti, in attesa della temuta replica non sono rientrati nelle loro case.
Tra gli edifici inagibili, c'è anche il moderno complesso sanitario dell'istituto di Villa Salus, da dove nottetempo oltre cento ricoverati sono stati trasferiti in parte all'Ospedale civile o in altri nosocomi o portati in famiglia.
Fra le chiese inagibili e pericolanti, la Chiesa Madre, e quelle di S. Francesco, del Sacro Cuore, delle Anime Sante e di S. Nicola di Brucoli. Una ventina i feriti causati dal terremoto, tutti medicati all'ospedale cittadino.
Ieri sera, intanto, sono arrivati da Palermo quaranta carabinieri del Nucleo compagnia esterna per essere impegnati in operazioni di antisciacallaggio nei paesi colpiti dal sisma.
Francesco Traina

CONFERENZA DI BOSCHI AD AUGUSTA

Augusta
6 gennaio 1991
Assemblea popolare sul terremoto organizzata dalla CAMERA TERRITORIALE DELLA PROTEZIONE CIVILE DI AUGUSTA del Movimento federativo democratico

INTERVENTO DEL PROF. ENZO BOSCHI
(Testo sbobinato)
……. Si passa subito la parola al prof. Boschi per il primo giro d’interventi.

Io vorrei innanzitutto ringraziare il sig. Sindaco ed il Movimento Federativo Democratico per avermi invitato a questa imponente riunione. Credo che sia la prima volta in vita mia che parlo davanti a tanta gente. (circa seimila persone)
Io vorrei rapidamente spiegare alcune cose, precisare alcune cose sulla base anche di alcune domande che mi vengono fatte quando mi trovo a camminare in queste zone.
Innanzitutto la questione dell'epicentro,
l'epicentro come è stato già detto è qui vicino ad Augusta


(per un lapsus si lascerà sfuggire Siracusa) a pochi chilometri sul mare. Normalmente noi ci diciamo la latitudine e la longitudine qui abbiamo dei problemi poiché non conosciamo bene la radiografia. Il fatto che si sia parlato della Val di Noto non so come sia venuto, cercherò di capirlo ma può darsi non c'è da escludere che sia il fatto che noi sismologi tendiamo a ricordare questi terremoti, i terremoti che si verificano in questa zona, come terremoti della Val di Noto per ragioni così d'indicazione, non hanno un valore seguito per esempio il terremoto del 1980 che ha colpito molto sia la Campania che la Basilicata, è noto come terremoto dell'Irpinia anche se l'Irpinia è stata colpita solo in parte. Il terremoto di Messina appunto noto come il terremoto di Messina del 1908, ha fatto altrettanti danni anche in Calabria e via dicendo. Quindi c'è la tendenza molto imprecisa a dare un nome a questi terremoti, questo probabilmente si chiamerà "terremoto di Santa Lucia" In ogni caso l'epicentro e qui vorrei spiegare come funziona tutto quanto, l'epicentro è soltanto un punto matematico nello spazio che a noi serve per individuare quale possono essere le zone colpite e mi spiego la sorgente di un terremoto cioè quello che fa scatenare le onde meccaniche, le onde sismiche che poi creano i problemi sugli edifici mal costruiti è estesa, non è un punto è una superficie estesa, è un volume focale normalmente abbastanza grande, in questo terremoto probabilmente le dimensioni lineari sono dell'ordine di 10 chilometri. Quindi non è un punto è una superficie immaginatevela circolare, che ha un raggio di 5/6 chilometri questa è la prima cosa. (che giro di parole per giustificarsi. Alle ore 11.00 del 13 dicembre 1990 ad Augusta si dava per certo che l’epicentro era non in mare ma sulla terraferma in contrada Scardina. La notizia era arrivata dagli Stati Uniti. Nei telegiornali nazionali per i primi due giorni il nome Augusta era tabù)
A cosa serve questo punto, in linea di principio questo punto dovrebbe essere il punto dove nasce la frattura. Il terremoto non è altro che una frattura che si propaga molto velocemente con velocità di 5/6 chilometri al secondo sulle rocce crostali a 10/15/20 chilometri di profondità e nasce in un certo punto che potrebbe essere teoricamente l'ipocentro, la cui propagazione sulla superficie diventa poi l'epicentro. In realtà poi questo punto non riusciamo mai, quasi mai ad identificarlo con precisione ragionevole. Però noi abbiamo creato in tutta Italia una rete sismica che è costituita da un certo numero di sismografi opportunamente distribuiti su tutto il paese in modo da consentirci per qualunque scossa si verifichi nel paese, al di sopra di una certa magnitudo da consentirci d'individuare rapidamente la zona colpita, l'eventuale zona colpita quindi questo punto serve per partire e tracciare attorno, andare a vedere i paesi, le città che sono attorno più o meno a questo punto e vedere poi potenzialmente, quali sono le zone colpite. Questo lo dico perché questo processo che è abbastanza impreciso che funziona agli scopi, per questo tipo di scopo per poter eventualmente portare rapidamente i soccorsi deve avvenire in pochi minuti nel giro di una decina di minuti, affinché poi tutti i servizi della protezione civile vengono messi in allarme il più rapidamente possibile successivamente nell'arco di alcune ore facciamo delle valutazioni molto più precise e riusciamo poi a verificare qual è la zona ipocentrale, ma a quel punto li non dovrebbe interessare più dal punto di vista della protezione civile perché tutti i mezzi sono già scattati. Ora qualcuno quel giorno probabilmente alla Val di Noto, io non lo so ma non c'è nessuna tendenza nessun motivo a spostare a celare problemi e quindi è venuta fuori questa dizione, anzi per colpa nostra, forse perché quello che noi facevamo con tutta la commissione grandi rischi perché poche ore dopo il terremoto eravamo riuniti a Roma nella sala sismica dell'Istituto Nazionale di geofisica, dove abbiamo tutti i dati sulla sismicità del paese, stavamo preoccupandoci di una eventuale scossa successiva molto più forte di quella che si è verificata il 13 mattina e quindi ignoravamo completamente cosa ..., sapevamo che c'erano stati morti a Carlentini, sapevamo e non seguivamo più il problema di questo terremoto ma ci preoccupavamo di quello che poteva succedere in futuro, perché era questo il nostro dovere, il nostro scopo, lo scopo delle nostre attività. Quindi l'epicentro è qui vicino ad Augusta, questo però non ha un grande significato dal punto di vista per esempio dei danni, del pagamento dei danni, della ricostruzione perché in realtà quello che conta poi non è questo epicentro fisico, teorico chiamiamolo come vogliamo, non ha importanza bensì è il quadro del danneggiamento che viene fatto successivamente cioè è l'analisi attenta di come si è distribuito il risentimento del terremoto, il danneggiamento del terremoto, sulla base di questo poi si trattano quelle curve che forse avete visto nelle ascisse che danno un quadro serio di cosa è successo dal punto di vista effetti sugli edifici. Non sempre l'epicentro dicevamo così fisico quello che misuriamo noi con i sismografi coincide con l'epicentro macrosismico quello che appunto si determina andando a guardare i dati.
Per esempio alcuni anni fa ci fu un terremoto in Messico dove forse qualcuno se lo ricorda (mi sembra che fu nell'85) dove i danni furono considerevolissimi in una parte centrale della città del Messico, ma l'epicentro cioè l'inizio della frattura di cui parlavo prima era avvenuto a circa 200 km di distanza. Era un terremoto molto forte e i danni furono in una zona che era un lago, una palude che era stata poi fossilizzata; insomma per costruirvi delle abitazioni quindi non sempre l’epicentro fisico quello che determiniamo con strumenti è poi l'epicentro macrosismico quello dei danni, comunque non c'è problema perché poi alla fine tutte le decisioni vengono pese sulla base delle considerazioni macrosismiche non sulla base delle considerazioni sismiche che segnano poi la loro normale evoluzione di studio scientifico. Un’altra cosa che viene detta frequentemente è la durata. Per durata ognuno la può identificare come ritiene più opportuno: noi sismologi per durata intendiamo il tempo che dura la frattura cioè per tutto il tempo in cui si propaga questa frattura; altri invece la intendono diversamente in base a quello che vedono, quello che sentono quello che osservano, però è un fatto dal punto di vista (anche questa durata non ha molto significato) in linea di principio, in generale, dal punto di vista teorico perché ogni edificio reagisce a seconda delle proprie caratteristiche meccaniche la propria elasticità e quindi l'evento può apparire più lungo, meno lungo a seconda di dove si trova.
Un’altra cosa è la ciclicità. Si sente dire frequentemente siccome trecento anni fa c'è stata una grande scossa esattamente fra trecento anni circa dovrà esserci la prossima perché ogni trecento anni c'è una grande scossa" questo è completamente privo di ogni fondamento purtroppo non è così facile non è che i terremoti avvengono precisamente ad ogni scadenza, questo si può vedere abbiamo un catalogo dei terremoti in Italia ma anche in tutto il mondo da cui si può vedere che nella stessa zona si verificano terremoti in un certo periodo di tempo, magari raggruppati, e poi completamente assenti. Quello che si sa è che una zona che viene colpita periodicamente da forti terremoti è un a zona sismica: su questo non si discute e se viene colpita da forti terremoti viene anche colpita da terremoti medi e medio bassi, piccoli ecc. e quindi ogni magnitudo, ogni intensità, ogni grado di terremoto ha evidentemente una sua periodicità nel senso un valore medio di ritorno, cioè una quantità che servirebbe a stabilire il rischio di una certa zona se vogliamo; oppure un rischio relativo cioè fra due giorni. Una dove duemila anni si hanno quattro scosse forti, un'altra dove ogni duemila anni si hanno soltanto due scosse forti ci insegnano che la prima sia a maggiore rischio della seconda ma sono considerazioni di questo genere che poi non hanno nessun riferimento per un particolare evento, cioè noi siamo in grado in base alle nostre conoscenze di fare valutazioni medie sull'andamento medio della sismicità di una zona ma non siamo in grado nessuno di noi è in grado nessuno al mondo è in grado di fare ancora affermazioni precise scientificamente serie basate su considerazioni serie su un particolare evento. Quindi tutte le voci che sentite dire sul mago o di chi per lui che c'è una scossa giorno tredici perché il tredici c'è stato il terremoto oppure che c'è una scossa alle diciassette perché il diciassette è il numero che porta sfortuna diciamo sono cose prive di senso che non dovete prendere in considerazione. Quindi c'è stato questo evento abbiamo temuto lo diciamo con tutta franchezza che si verificasse una situazione analoga a quella del 1693 in cui ci fu prima una scossa e poi successivamente una più grande e poi invece non è stato così vi posso anche raccontare tanto ormai siamo usciti per il momento da questa situazione che nei due giorni senza scosse che ci sono stato dopo la scossa del tredici eravamo fortemente preoccupati perché il silenzio dopo una scossa come quella del tredici, cioè il fatto che per un certo numero di ore in questo caso fino a quarantott’ore non ci fossero scosse eravamo veramente preoccupati perché, normalmente abbiamo una scossa forte quella principale che sarebbe quella del tredici, quella della mattina del tredici e poi dobbiamo avere tutte le scosse successive con magnitudo sempre decrescente, invece c'è stato due giorni circa di silenzio finche c'è stata finalmente dico finalmente la scossa che noi aspettavamo prima ma che si è verificata successivamente più basa, quella della domenica pomeriggio e questa ha riportato il fenomeno nella normalità, quello che noi definiamo fenomeno della normalità cioè la scossa forte principale iniziale e tutta una serie di scosse successive che va via via degradando. Ecco questo è un fenomeno ormai esaurito o in fase di esaurimento certo perché noi pensiamo in linea a di principio che non dovrebbe succedere niente a breve termine però le conoscenze che abbiamo sono quelle che sono e quindi dobbiamo tenere presente che questa è e resta una zona sismica cioè questo discorso che sto facendo potevamo farlo tranquillamente il dodici l'undici il dieci dicembre era esattamente la stessa cosa.
Quindi come diceva poco fa Coen Cagli dobbiamo entrare nella mentalità della prevenzione e qui accanto a me c'è uno dei più grandi ingegneri sismici più grande non in campo nazionale ma in campo internazionale che appartiene ad una scuola quella del politecnico di Milano che ha sostanzialmente inventato l'ingegneria sismica, quindi cioè in Italia voglio dire adesso non voglio fare troppi elogi all'amico Petrini ma in Italia abbiamo tutte le competenze per affrontare tutti i programmi di prevenzione, abbiamo anche il prof. Campo dell'università di Catania che è anche egli un ottimo ingegnere sismico senza voler fare classifiche. Adesso non voglio essere frainteso e quindi esistono tutte le competenze per affrontare tutti i problemi che vengono posti dalla prevenzione quindi invece di pensare a questo giorno assurdo al massacro ci sarà un terremoto fra mezz'ora fra quindici giorni l'unica soluzione per risolvere i nostri problemi anche sulla base delle nostre conoscenze è partire con i problemi della prevenzione, cioè partire per far si che un terremoto anche più forte di quello che abbiamo avuto qui il tredici dicembre possa diventare non dico una curiosità ma un evento che si sa che avviene, ma dal quale ci siamo difesi abbiamo preso provvedimenti e che non crea neppure panico. Ne approfitto e l'ho visto poco fa per segnalarvi un libretto che viene distribuito credo sarà probabilmente già esaurito preparato dalla lega ambiente dove vengono riportati e spiegate molte cose che chiariscono molte cose: che cos'è un terremoto come ci si deve comportare e che cosa fare per evitare che anche eventi modesti possano diventare catastrofici. Con questo penso di avere sostanzialmente risposto alle domande che più o meno mi vengono sempre poste. Successivamente se ci sono altre domande sono lieto di rispondere.
PROF. ENZO BOSCHI

sabato 9 maggio 2009

la notte dell'ICAM: parla un altro testimone

19 maggio 1985: la notte dell'ICAM
(Dott. Tempio S.)

Era una domenica di maggio e, come da tradizione, Noto aveva organizzato l'"infiorata", il saluto alla bella stagione.
La manifestazione a cui avevamo partecipato ci aveva dato lo spunto ad una breve gita familiare per rivedere la splendida città barocca e far trascorrere a nostro figlio Giuseppe, un bimbo di tre anni, un sereno pomeriggio domenicale.
Passeggiando per Noto addobbata a festa avevamo riassaporato sensazioni e dimensioni di vita ormai dimenticati, proprie di una cultura abituata a scandire il tempo secondo esigenze dettate dal ritmo della natura.
Il passaggio attraverso la zona industriale, mentre tornavamo a casa, ci aveva riproiettato all'interno della nostra vita quotidiana.
A casa, erano circa le ventitré, messo a letto il bambino, commentavamo il pomeriggio trascorso, quand'ecco, all'improvviso, un vibrare di vetri e di serrande ed un rumore come di tuono ci sorprese.
L'occhio corse fuori e come un'intensa luce giallastra illuminò a giorno le facciate delle case vicine.
Mi affacciai sul balcone prospiciente via Adua, vidi un'intensa luce e sentii sordi brontolii provenire dalla zona industriale della Montedison.
Fu subito evidente che qualcosa di tremendo doveva essere successo: qualche impianto della zona industriale aveva preso fuoco.
Per strada la gente correva verso via Marina Ponente per guardare dal porto l'accaduto.
Scesi anch'io per strada e mi diressi verso la marina per meglio valutare l'entità del disastro e le possibili evoluzioni al fine di decidere il da farsi.
Riuscii appena a fare alcuni passi quando un terrificante boato mi fece impietrire.
Il primo impulso fu di ritornare indietro, montare rapidamente in macchina con la famiglia e scappar via, ma mi sforzai di mantenere la necessaria calma e andare avanti.
Lo spettacolo che mi si presentò una volta giunto in prossimità del porto, fu quanto di più terrificante si potesse immaginare.
Altissime colonne di fuoco e di fumo si alzavano dal sito che da una prima valutazione sembrava fosse quello dell'I.C.A.M. e possenti boati accompagnati da enormi proiezioni di fuoco verso il cielo scuotevano la quiete della notte.
Ritenni che in quel momento non ci fosse pericolo immediato, perché l'impianto che aveva preso fuoco non trattava sostanze tossiche ed anche perché il vento, per nostra fortuna, spingeva verso l'entroterra il fumo generato dall'incendio; ma se il vento avesse cambiato direzione e se quelle tremende esplosioni avessero coinvolto nel disastro qualche impianto vicino, la situazione poteva degenerare in modo preoccupante.
Tornai di corsa a casa, dove trovai mia moglie, raccolte poche cose, già pronta ad uscire.
Durante la mia assenza mia moglie era stata avvertita telefonicamente di quanto successo da mio fratello che aspettava di essere richiamato per concordare il da farsi, ma ciò fu imposssibile perché, nel frattempo, i telefoni erano andati in tilt.
Avvolto il bambino in una coperta scendemmo in strada, prendemmo la macchina per uscire fuori del paese ed allontanarci il più possibile.
Presi dall'angoscia per non aver potuto comunicare con le nostre famiglie, ci avviammo per strade da noi ritenute più scorrevoli, ma la circolazione man mano che si avanzava, diventava sempre più convulsa fino a bloccarsi quasi totalmente in prossimità di piazza delle Grazie.
Il suono delle sirene dei mezzi di soccorso, bloccati anch'essi alle nostre spalle, rendeva ancor più angosciante l'atmosfera.
Quando, finalmente, dopo più di due ore, riuscimmo ad oltrepassare la strozzatura della Porta Spagnola, la morsa dell'angoscia si alleviò un po'.
Provammo inutilmente da una cabina telefonica di rimetterci in contatto con i nostri parenti e quindi ci dirigemmo verso il "monte", dove, pensavamo, di poter controllare meglio l'evolversi della situazione, ormai fuori dalla trappola costituita dalla struttura urbana del centro storico.
Sono passati cinque anni, ma l'esperienza e le sensazioni maturate in quella lunghissima notte del 19 maggio 1985, sono rimaste nitide nella nostra mente accresciute dalla consapevolezza che se un evento catastrofico simile dovesse ripetersi ci troveremmo, noi abitanti del centro storico, in una situazione forse ancora peggiore di quella già vissuta, poiché a fronte dell'ulteriore crescita dei veicoli e della popolazione residente, nulla è stato fatto per facilitare il deflusso più rapido dei veicoli verso una possibile salvezza.
Augusta, 19 maggio 1990
Dott. Sebastiano Tempio

la notte dell'ICAM: parla un testimone

19 maggio 1985: la notte dell'ICAM
(Arch. De Martino C.)

La sera del 19.05.1985 tra un programma televisivo e l'altro, mi affacciavo al balcone di casa mia per prendere una boccata di aria e contemplare il vastissimo panorama sul porto, privilegio che mi è dato dall’abitare ad un settimo piano rivolto ad ovest e poter abbracciare con un unico sguardo l’intero arco industriale da Punta Cugno sino a Scala Greca.
Poco più tardi mi sarei reso conto che il vero privilegio di una simile veduta (per i pochi fortunati che ne possono usufruire) doveva consistere nella possibilità immediata di rendersi conto, per quanto possibile, degli effetti prodotti da una eventuale esplosione di prodotti chimici ed agire di conseguenza; in definitiva valutare meglio e visivamente la situazione di pericolo.
Fra le migliaia di piccole luci che pulsavano su tutta la costa mi colpì un piccolo "fuocherello" che ardeva alla base di un’altissima ciminiera. Non detti eccessivo peso al fatto anche perchè dal mio balcone "osservatorio" in tanti anni ne avevo visto di più spettacolari.
Mi affacciavo ripetutamente più che altro per il caldo ad intervalli di circa dieci minuti; ricordo benissimo che pensai:
"....come mai è ancora lì quel fuoco? che aspettano a spegnerlo? "
Successivamente mi accorgevo che il fuocherello era divenuto un vero e prorpio incendio che cresceva in intensità, estensione ed altezza delle fiamme; era giunto il momento di prendere il binocolo, operazione che riservo soltanto ad eventi ...degni di riguardo!
Potei così osservare lunghi getti d’acqua che uscivano non so da dove e diretti sulle fiamme; constatai che era come se un bambino volesse spegnere un falò facendovi sopra la pipì: le fiamme erano sempre lì, si facevano gioco dell’acqua ed anzi aumentavano di intensità.
Non ricordo quante volte feci la spola tra il balcone e la mia poltrona davanti al video e prima di andare a letto (erano circa le 23,20) decisi di dare l’ultima occhiata fuori ma prima di rientrare vidi una enorme montagna di fuoco di grande superfice e volume salire altissima, molto simile alla caratteristica immagine di un serbatoio che esplode, ma questa volta di dimensioni colossali, o se preferite il tipico fungo di una bomba atomica, fatte le dovute proporziooni.
Nessun rumore: come una scena al video in cui fosse stato escluso l’audio; solo il silenzio di una splendida nottata anche se col cielo interamente arrossato dalla immensa vampata. Dovevano trascorrere almeno tre lunghi secondi prima che giungesse un assordante boato accompagnato da un forte spostamento d’aria che, ricordo, gonfiò i vetri quasi a spezzarli.
Era la prima delle 5 violente esplosioni che si verificarono la tarda sera del 19.05.1985, meglio conosciuta come "la notte dell’ICAM".
Posso affermare che dal momento in cui osservai per la prima volta quel "fuocherello" sino alla prima esplosione siano trascorsi non meno di sessanta minuti, certamente anche un’ora e mezza. Ma da quanto tempo prima divampava l'incendio?
Ritengo di essese uno dei pochissimi cittadini ad aver osservato nel suo evolversi l'incendio dell’Icam che illuminò (e non iniziò) nelle 5 esplosioni, simili come potenza e deflagrazione.
Fui raggiunto al balcone da mia moglie, svegliatasi in preda al panico mentre i bambini dormivano immersi nel sonno dei... giusti; fu proprio mia moglie a prospettarmi il pericolo del diffondersi di eventuali gas tossici: non ci avevo ancora pensato e la prima cosa che feci fu di osservare la posizione delle navi alla fonda nel porto: ebbi un certo sollievo nel vedere che erano tutte rivolte con la prua verso nord, ciò significava che il vento, o meglio la leggera


brezza notturna soffiava verso sud; la qual cosa, anche se per tempi brevi, avrebbe messo al riparo Augusta.
Questa constatazione fu determinante affinchè decidessimo di restare in città anche perchè ci rendemmo conto dell’impossibilità di qualsiasi alternativa, visot e considerato che già un quato d’ora dopo, il centro abitato era intasato sino al collasso da cittadini che con tutti i mezzi tentavano, invano, di uscire dà isola di Augusta.
Alcuni giorni dopo si cominciava già a parlare di grandi progetti che garantissero la salute pubblica:ponti, circumvallazioni, tunnel sottomarini ed altro, ma da allora nulla è cambiato, nulla è stato fatto, in niente si è progredito, salvo il tempo: da allora sono trascorsi cinque anni.
Nel momento in cui sto battendo queste righe si stanno iniziando le opere per la costruzione del secondo ponte sul Golfo Xifonio, che ritengo tuttavia servirà a ben poco se prima non si provvederà ad una seria e complessa ristrutturazione della viabilità, tale che consenta ai cittadini di poter pervenire, nel più breve tempo possibile, nel citato ponte e poter defluire con sicurezza fuori del centro abitato.
Nel frattempo non ci rimane che sperare che non accadano catastrofi industriali e che il Padreterno faccia...spirare la brezza nel verso giusto, almeno per noi!



De Martino Costantino

19 maggio 1985: la notte dell'ICAM

19 maggio 1985: la notte dell’ICAM
Era stata una tiepida giornata di primavera inoltrata, una dome­nica come tante altre.
Ero ritornato a casa dalla parrocchia alle 21.00 dopo una giornata in cui avevamo celebrato le prime comunioni.
Rincasando avevo trovato mia madre già a letto ed io ero salito al piano di sopra dove c'era la cucina per consumare la cena e guardare un po’ la televisione.
Mi ero attardato quella sera a guardare la TV che quella sera trasmetteva il settimanale di medicina TG2 trentatrè.
Ricordo quella sera come se fosse oggi: erano le 23,20 circa.
Avvertii un rumore come di un tuono lontano seguito pochi istanti dopo da un forte boato: era l'onda d'urto di un'esplosione che passava sulla città e che rimbalzava sul costone di roccia prote­sa sul mare che ad Augusta chiamano "il monte".
I vetri alle finestre vibrarono facendo intuire che qualcosa di grave stava accadendo o era accaduto.
Pensai subito alla probabile esplosione di un’auto nella strada sottostante. In fretta mi affacciai dal davanzale della terrazza: il cielo si era improvvisamente illuminato a giorno di un intenso
colore rosso arancio; il costone del monte e tutto il golfo Xifonio, il mare ad est di Augusta, per alcuni istanti mantennero il colore delle scene delle esplosioni viste qualche giorno prima nel film "THE DAY AFTYER".
I miei pensieri furono più rapidi della penna con cui scrivo questi ricordi: pensai non più ad un auto, ma ad una possibile esplosione atomica nella base NATO sotto Melilli.
Restai in attesa degli eventi per alcuni interminabili secondi, ma non successe nulla e tutto ripiombò nel buio della notte.
Mi tranquillizzai; non era saltata la base Nato.
Pensai allora all'esplosione di una petroliera nella rada o ad un incidente nella zona industriale.
Un episodio analogo era capitato sei anni prima alla Montedison, quando mi trovavo a Floridia, dove vidi il cielo improvvi­samente colorarsi di rosso in seguito all'esplosione del PR 5; ma quella volta si era trattata di una esplosione isolata.
Stavolta, però, i miei occhi e le mie orecchie erano tesi a percepire anche i più deboli segnali di pericolo.
Tutta la fascia costiera tra Augusta e Siracusa è intasata di impianti industriali e relativi serbatoi di sostanze infiammabili a distanze irrisorie gli uni dagli altri; impianti costruiti
molto tempo prima dei disastri di Seveso, Napoli, Genova o Bhopal.
Ma qui su quella famosa direttiva Seveso neanche si discute, qua­si fosse tempo perso.
Il mio fondato timore fu quello che una possibile serie di esplo­sioni potesse coinvolgere in una pericolosa reazione a catena l'intera zona industriale con il pericolo di qualche micidiale nube tossica.
La prima esplosione, con la sua luce sinistra mi aveva messo in allarme, per cui mi tenni pronto a tentare la fuga.
Mia madre, nel frattempo, si era svegliata chiedendomi cosa stesse succedendo.
Le risposi che probabilmente era successo qualcosa nella zona industriale e la invitai a rivestirsi e a tenersi pronta ad ogni eventualità, compresa quella dell’evacuazione.
Mi ricordo che fu presa dal panico manifestando ad alta voce i suoi pensieri: atteggiamento comprensibile se si considera che mio fratello lavora come turnista nella zona industriale.
Pensò subito di radunare i figli e le rispettive famiglie, che vivono nella zona Borgata e di fuggire.
Io intanto ero sceso in strada per mettere in moto la macchina comprata da appena un mese, sempre pronto a lasciare la città.
Molta gente nel frattempo, bruscamente risvegliata, si era affac­ciata per la strada ora insolitamente animata, chiedendo notizie su cosa stesse accadendo.
A chi me lo chiedeva rispondevo che era sicuramente successo qualcosa nella zona industriale.
All'improvviso il cielo si riilluminò: un'altra esplosione squassò la notte con il suo cupo boato e a questo punto, non solo io, ma tutta la Città ormai sveglia, si mise in allarme e temette il
peggio.
Quel che restava da fare era di cercare di uscire da Augusta prima che diventasse una trappola mortale: se infatti si fosse formata la colonna d' auto saremo rimasti bloccati senza scampo in caso di nube tossica.
Feci salire mia madre in auto, chiusi in fretta l'uscio di casa senza neanche spegnere le luci e mi avviai verso la macchina: erano passati solo due o tre minuti quando avvenne una terza esplosione.
A questo punto anch' io pensai al peggio e senza indugio mi avviai.
Fui fortunato: prima ancora che si formasse la colonna d'auto, riuscii a oltrepassare quell'"imbuto archeologico" denominato "PORTA SPAGNOLA".
Pochi minuti più tardi la teoria di auto che tentavano la fuga non riuscì più a passare (grazie ai colpevoli ritardi con cui non sono stati realizzati quegli svincoli sempre promessi ed ancora attesi).
Nel frattempo c'era stata un'altra esplosione ma non me ne ero accorto, tutto intento com'ero alla guida.
Arrivai presso l'abitazione di una delle mie sorelle nella zona della Borgata denominata S. Cuore: sapevo bene che ogni minuto di tempo ci avrebbe impedito di tentare la fuga: (da quella zona si può uscire solo attraversando il passaggio a livello o facendo un lungo tragitto che va a finire nelle strettoie della zona Fontana)
La famiglia di mia sorella non si era accorta di nulla per via delle serrande abbassate.
Informai rapidamente mio cognato, gli affidai mia madre, mentre io sarei andato oltre il passaggio a livello ad informare l'altra mia sorella, mentre essi avrebbero preso contatto con mio fratello.
Ci demmo appuntamento sulla strada per Brucoli, ma mentre ancora discutevamo ci fu la quinta esplosione: ormai c'era da temere solo il peggio: era chiaro che la situazione non era più sotto controllo.
Vidi poi le foto e le diapositive di quella catena di esplosioni: qualcuno aveva avuto il tempo e il coraggio di immortalare quei giganteschi funghi di fuoco che quella notte crearono il panico:
Una palla di fuoco alta 600 metri, (quattro volte l'altezza della ciminiera dell' ICAM) copriva parte della zona industriale e del porto; i rottami incandescenti scagliati a diverse centi-naia di metri sfiorarono fra l'altro l'incrociatore Andrea Do­ria con il suo carico di missili (fermo ad appena 200 metri dal luogo del disastro) ed un serbatoio di ammoniaca nella vicina Montedison.
Eppure, qualche tempo dopo, un sindacalista della C.G.I.L. si permise di affermare durante un'intervista che "l'incidente fu più un fatto spettacolare che una situazione di effettivo pericolo".
Tentai di attraversare il passaggio a livello, ma c'era già la colonna d'auto che tentava di abbandonare la Città.
A fatica riuscii ad inserirmi e più avanti imboccai una via laterale per raggiungere l'abitazione dell'altra sorella.
Quando vi giunsi era andata già via con tutta la famiglia.
A questo punto non mi restava che ricongiungermi con la mia fami­glia che mi attendevano sulla strada per Brucoli.
Preferii invece cambiare programma: imboccai l'autostrada e mi avviai verso la zona industriale.
C'era già il posto di blocco della polizia: la zona del disastro si trovava proprio dove finiva l'autostrada: sarebbe stato impos­sibile passare.
Già una decina di auto erano state costrette a fermarsi; gli oc­cupanti ne erano scesi per guardare quell'immane rogo.
Riferii ad un agente di essere un prete e di essere disponibile a dare il mio aiuto se fosse stato necessario.
Il divieto fu tassativo. Nessuno fu fatto passare.
Superarono il posto di blocco solo poche auto: quelle di alcuni vigili del fuoco della zona industriale richiamati in servizio per l'emergenza.
Il rogo dell' ICAM, da quel punto di osservazione, illuminava sinistramente tutta la zona.
In tutto ci furono solo sei feriti, ma uno di essi morì l'anno dopo per le conseguenze dell'incidente; a Priolo una donna morì d' infarto per la paura.
I danni materiali furono calcolati in diversi miliardi di lire.
Considerata l' inutilità del mio rimanere lì tornai indietro a raggiungere i miei: li trovai ad attendermi nel luogo concordato preoccupati del mio ritardo e ci dirigemmo verso Villasmundo presso la casa di campagna di mio cognato.
A Villasmundo era in corso una festa con tanto di fuochi d'artificio: nessuno sembrava aver capito quanto fosse successo.
Intanto gran parte della popolazione di Augusta era fuggita in direzione di Catania.
Io con i miei rimasi a Villasmundo fino alle 02,30 di notte.
Quella notte non ci fu fortunatamente la temuta nube tossica, però, lo spavento fu tanto.
E posso dire che ci andò bene.
Provate a immaginare le proporzioni del disastro solo se fosse accaduto in un normale giorno feriale alle 08,00 del mattino anziché alle 23.20 di una domenica sera:
cosa sarebbe potuto capitare alle migliaia di operai che in quel momento avevano appena iniziato a lavorare?
Cosa sarebbe potuto capitare ai treni e alle macchine con i rispettivi passeggeri che transitavano a poche decine di metri dal luogo del disastro?
Gli ospedali e le strutture sanitarie locali avrebbero potuto far fronte all'emergenza?
Quanti feriti sarebbero arrivati in tempo negli ospedali di Siracusa e Catania con l'attuale sistema viario e le condizioni del traffico?
Ma continuo ancora a chiedermi: "E se fosse capitato durante la sera del 23 o del 24 Maggio quando ad Augusta erano in corso i festeggiamenti del S. Patrono?".
In quelle due sere molte migliaia di persone si trovavano al di qua della Porta Spagnola ed il "parcheggio selvaggio" aveva, come al solito intasato il centro storico e paralizzato il traffico: forse il S. Patrono di Augusta si prende ancora cura della "Sua Città" e in quell'occasione ci diede una mano.
Intanto la "Direttiva Seveso" attendeva già dal 1976 di essere tirata fuori dal cassetto del Ministro per la Protezione civile e solo nel 1987 è stata recepita dall'Italia, ma ad Augusta e dintorni forse aspettavano un altro disastro con morti e feriti per poterne solo parlare.
E nel frattempo Augusta, Priolo e Melilli sono altrettante potenziali Seveso, Bhopal, Chernobyl, senza che nessuno se ne preoccupi.
Ed è probabile che un giorno anche Augusta, Priolo e Melilli passeranno alla storia come città martiri del profitto, del di­sinteresse e del pressappochismo di amministratori, politici e funzionari.
Augusta, 19 maggio 1990
Sac. Prisutto Palmiro

giovedì 7 maggio 2009

terremoto, notte di paura



La Sicilia
prima pagina
Giovedì, 13 dicembre 1990.

All'1 e 25 una violenta scossa del settimo grado ha attraversato la Sicilia orientale facendo tremare città e paesi
Terremoto, notte di paura
Epicentro il golfo di Noto: colpita soprattutto Carlentini
Per 45 secondi la vita si è fermata - Nella cittadina siracusana è crollato un palazzo a tre piani: due vittime - Si scava sotto le macerie alla ricerca di eventuali dispersi - In diverse zone si segnalano feriti non gravi - Il sisma annunciato un forte boato - La gente si è riversata nelle strade.

Catania

Un fortissimo terremoto nel cuore della notte - intorno all1,25 - ha gettato nel panico quasi tutta la Sicilia orientale.
Scosse, un po' più deboli, si sono avvertite anche all'1,45 e alle 2.
Il sisma, del settimo grado della scala Mercalli, ha avuto il suo epicentro al largo del golfo di Noto. È durato a lungo, circa 45 secondi, ed è stato preceduto da un forte boato.
Secondo le prime frammentarie notizie, la situazione più grave si presenta a Carlentini. Nel centro del Siracusano, in via De Amicis, è crollata una palazzina di tre piani. Dalle macerie sono stati estratti due cadaveri, mentre altre tre persone risultano disperse. Feriti leggeri vengono segnalati un po’ dovunque. Caduti molti cornicioni e qualche fabbricato rurale.
Nella zona industriale di Augusta la scossa ha provocato principi di incendio.
Il panico è stato enorme. La gente, svegliata di soprassalto nel cuore della notte, si è riversata per le strade di città e paesi. Intere famiglie sono uscite di casa portandosi dappresso donne, vecchi e bambini. Molti in auto si sono diretti verso l’Etna, credendo che si fosse aperta qualche bocca eruttiva.
In tutti i paesi pedemontani la popolazione è rimasta nelle piazze. Lo stesso è avvenuto a Catania, Siracusa, a Ragusa, a Noto, a Caltagirone. Non c'è stato paese che non abbia avvertito con paura la fortissima scossa. Intasati i centralini dei vigili del fuoco, dei carabinieri e della polizia.
Una grande folla anche davanti alla sede del nostro giornale. Tutti chiedevano notizie, anche perché, in un primo momento, non si aveva alcuna percezione di dove fosse stato l'epicentro del sisma. Soltanto più tardi da Roma il centro sismologico segnalava che l'epicentro era stato nel golfo di Noto e che la scossa era stata del settimo grado della Mercalli.
A quanto sembra la zona più colpita è stata tutta la fascia costiera. Ad Augusta sono stati segnalati danni ai piani alti dei palazzi (????), anche quelli di recente costruzione. Molti muri hanno subito profonde lesioni. I sistemi di emergenza hanno bloccato gli impianti industriali di Augusta, di Priolo per evitare fuoruscita di gas e possibili incendi. Ad Acireale sono crollate vecchie abitazioni alla periferia della città e nelle campagne vicine.
Nonostante che il sisma sia stato largo del golfo di Noto, l’Etna pure ha avuto qualche sussulto. Un forte vento si è levato nella zona, aumentando la paura nella popolazione pedemontana. A Noto sono caduti pezzi di edifici barocchi già pericolanti e transennati. Sono caduti cornicioni e grosse crepe si sono aperte nei palazzi centenari. Anche la caserma dei carabinieri ha subito lesioni. Il centro storico di Noto era già ad alto rischio: e la forte scossa di terremoto gli ha dato una durissima botta.
A Carlentini, come si è detto, si sta scavando per cercare di salvare le persone rimaste sotto le macerie. Alla volta del centro Siracusano è subito partita una colonna della protezione civile con le attrezzature necessarie.
All'ospedale di Lentini sono stati ricoverati alcuni feriti, colpiti dalla caduta di cornicioni, ma non sono in gravi condizioni. Qualche anziano è stato ricoverato per collasso cardiaco. Molte persone, soprattutto anziane, colte da malore sono state portate al pronto soccorso nei vari ospedali cittadini. Non si segnalano al momento decessi. La forte scossa di terremoto ha fatto saltare le linee elettriche ma non quelle telefoniche (anche se in qualche caso ci sono state difficoltà di comunicazione). Il sisma ha fatto ondeggiare gli edifici soprattutto quelli dei piani alti, mandando in frantumi, quadri, posateria, suppellettili.
È stato più il panico che altro, ma il timore che la scossa potesse ripetersi non ha fatto dormire quasi nessuno in tutta la Sicilia orientale. Solo la zona a nord della provincia di Messina non pare abbia avvertito il sisma. Si può dire che stanotte circa due milioni di persone abbiano dormito all'addiaccio o dentro le auto. La gente è letteralmente scappata di casa affluendo nelle strade, nelle piazze, o dove credeva di essere più al sicuro.
Dappertutto è stato un accorrere di ambulanze degli ospedali e dei mezzi di intervento dei vigili del fuoco. Grande apprensione soprattutto nei centri di ricovero per anziani. Alla casa di riposo Monsignor Ventimiglia a Catania le assistenti hanno detto: I nonni hanno avuto paura, ma li abbiamo tranquillizzati.
Un panico enorme come solo un terremoto nel cuore della notte può provocare. Ora toccherà ai sismologi leggereil fenomeno, per poter dire se è collegato alla faglia che dall'Etna arriva alla Val di Noto e se l'attività del vulcano e in qualche modo “implicatanel terremoto di stanotte che ha gettato nel panico mezza Sicilia.
Tony Zermo
(Il servizio continua a pag. 10)