giovedì 25 giugno 2009

AUGUSTA: AREA SISMICA DI PRIMO GRADO

AUGUSTA AREA SISMICA DI PRIMO GRADO



Non abbiamo bisogno di provare con dichiarazioni legislative o altri documenti che siamo una zona sismica S=12 e non S=9.


La Natura ha già dato il suo responso inequivocabile infischiandosene di scienziati miopi, politici sprovveduti, amministratori ammansiti, sindacalisti schierati e giornalisti ammaestrati.

Mi fa meraviglia che proprio queste categorie di persone, - forse perché si ritengono per intelligenza “cittadini superiori o speciali” - non tengono in alcun conto quanto la Storia e la Natura qui ci hanno insegnato.

La ciclicità e la violenza dei terremoti succedutisi in questo territorio non lasciano adito ad alcun dubbio e, purtroppo, gli scienziati lo sanno. Chissà perché, ai rischi già donatici dalla Natura si debbano aggiungere anche quelli provocati dall’uomo con le sue scelte insensate prima e scellerate dopo.

Che la nostra area sia sismica di primo grado lo sanno tutti: dall’uomo della strada ai legislatori. Fanno finta di non saperlo solo quelli che hanno pensato di profittare sul nostro territorio e sulla nostra pelle.


Da una pubblicazione dell’INGV traggo fuori alcuni passaggi:

6. PERICOLOSITÀ SISMICA DELLA SICILIA SUD ORIENTALE.
TERREMOTI DI SCENARIO PER AUGUSTA, SIRACUSA E NOTO

L. Decanini, F. Mollaioli, G. F. Panza, F. Romanelli, F. Vaccai All’interno dell’ASI (=Area Sismica Iblea) possono essere distinte due aree approssimativamente separate dal meridiano 14’ 53’ E.

Nella parte occidentale si presenta un numero abbastanza grande di eventi di non elevata intensità con ipocentri piuttosto superficiali. Nella parte orientale lungo la costa ionica si è avuto un numero minore di terremoti, ma di elevata intensità e maggiore profondità.
In questa parte dell’ASI sono avvenuti i tre eventi più disastrosi (1169, 1542, 1693). …………
Dagli studi geofisici si desume che il flusso di calore nella zona della Scarpata (circa 50 mW/m2) risulta compatibile con la possibilità di generazione di eventi sismici di grande portata quali quelli del 1169 e 1693.
I dati di geofisica marina hanno consentito di individuare diversi segmenti, di cui il più settentrionale si prolungherebbe in terra fino all’area etnea. La suddivisione del sistema della Scarpata Ibleo-Maltese può essere sintetizzata come segue:
il Segmento Settentrionale Etneo (Timpe) con una lunghezza di circa 15 km. Probabile responsabile del terremoto Catanese del 1818 (MS=6.2 – Io=IX).
il Segmento del Golfo di Catania con una lunghezza di circa 28-30 km.
il Segmento Augusta-Siracusa con una lunghezza di circa 50-55 km.
Questi due ultimi segmenti possono essere ritenuti come le sorgenti più probabili dei terremoti distruttivi del 1169 (MS=7.7 – Io=XI) e dell’11 gennaio 1693 (MS=7.7 –Io=XI).
Altri eventi ascrivibili a questi due segmenti principali della Scarpata Ibleo-Maltese o a strutture trasversali associate sono quelli del 1125 (ML=5.8 – Io=VIII-IX), del 1848 (MS=5.4 – Io=VIII) e del 1990 (MS=5.4 – Io=VII-VIII). Anche la scossa del 9 gennaio 1693 (ML=5.8 – Io=VIII-IX), pur con maggiori incertezze, potrebbe essere attribuita ai due suddetti segmenti. ……………
6.3 Analisi storico sismologica
6.3.1 Caratteristiche fondamentali della storia sismica dell’ASI. Data-set regionale
La Sicilia Sud Orientale è stata sede di numerosi eventi sismici, e in particolare di tre grandi terremoti avvenuti nel 1169 (Io=XI MCS), 1542 (Io=X MCS) e 1693 (Io=XIMCS).
Il catastrofico evento dell’11 gennaio 1693 costituisce quello rimasto più impresso nella memoria storica a causa della gravità dei danni provocati e della notevole estensione dell’area colpita, sia dei cambiamenti storici, sociali, architettonici e urbanistici che produsse. Si può considerare che questo terremoto corrisponde a uno degli eventi più forti registrati nella storia sismica italiana. …………………..
Una prima indicazione dell’elevata Pericolosità Sismica della Sicilia Sud-Orientale, si desume dalle massime intensità osservate e dall’inviluppo delle isosisme dei terremoti più distruttivi. Praticamente la totalità del territorio emerso corrispondente all’ASI ha subito, in passato, almeno una volta effetti sismici equivalenti al IX MCS, mentre circa l’80% è stato soggetto almeno una volta all’intensità X MCS. L’inviluppo degli effetti superiori al X MCS (1169 e 1693) copre circa un quinto della superficie emersa dell’ASI, e ricade prevalentemente entro il settore CAS (=Catania, Augusta, Siracusa).
Buona parte delle coste e pressoché la totalità del settore costiero orientale hanno subito gli effetti di tsunami in conseguenza di terremoti avvenuti nell’ASI o altrove.
Augusta ha risentito due volte intensità superiore a X MCS (1169 e 11/1/1693),una volta VIII-IX MCS (9/1/1693) e in due occasioni è stata colpita da effetti equivalenti al VIII MCS (1542 e 1848). …………………
Dal confronto tra le storie sismiche dei tre siti emerge che Augusta è il luogo che ha risentito maggiormente gli effetti degli scuotimenti sismici.
Risentimenti di poco inferiori corrispondono a Siracusa. Invece Noto risulta il sito che ha subito gli effetti minori dai terremoti del passato.

………………………………


Suggerisco di leggere anche il libro di Salvatore Nicolosi, APOCALISSE IN SILICILIA, Tringale Editore CT, dove si racconta anche dell’esplosione della polveriera del castello di Augusta in seguito al terremoto del 1693.

L’esplosione della polveriera aggiunse altri ottocento morti ai 2.400 già provocati dal terremoto portando il numero delle vittime a 3.200 nella sola Augusta.

Cari giornalisti siciliani, se volete che la tragedia si ripeta con il rigassificatore continuate a difenderlo con le vostre “veline” sponsorizzate dalla Erg, Shell, ecc.
Gli articoli veri li scriveranno i superstiti a tragedia avvenuta, quando ormai sarà troppo tardi.

Studi per gli esperti e non:
http://gndt.ingv.it/Pubblicazioni/Decanini_Panza/0_Intro.pdf
http://gndt.ingv.it/Pubblicazioni/Decanini_Panza_copertina.htm
http://gndt.ingv.it/Pubblicazioni/Decanini_Panza/1_Barbano.pdf

domenica 21 giugno 2009

link relativi al tema

http://italianspot.wordpress.com/2009/04/19/augusta-e-priolo-come-laquila-rischio-sismico-elevato-ma-solo-sulla-carta/
http://it.wikipedia.org/wiki/Terremoto_del_Val_di_Noto
http://it.wikipedia.org/wiki/Tsunami
http://gndt.ingv.it/Pubblicazioni/Decanini_Panza/2_Stucchi.pdf
http://roma2.rm.ingv.it/it/tematiche/33/tsunami/33/gli_tsunami_in_italia

http://www.geoforum.it/ubbthreads.php?ubb=showflat&Number=63305
http://priolo.altervista.org/notizie/cronaca.php?subaction=showfull&id=1239769449&archive=&start_from=&ucat=41&
http://www.fainotizia.it/rrpedia/Tsunami
http://gndt.ingv.it/Att_scient/Prodotti_consegnati/Argnani/prodotti_Argnani.htm
http://www.servimpresasrl.com/Elemento_dtl.aspx?IDTipoElemento=2&IDElemento=18&IDTipoCategoria=0
http://www.siracusa-sicilia.com/augusta/storia-augusta/
http://www.lasvolta.net/news/prisutto05.htm
http://www.geoforum.it/ubbthreads.php?ubb=showflat&Number=63305
http://www.ilsussidiario.net/articolo.aspx?articolo=16610
http://www.sinistra-augusta.it/interventi.htm
http://www.google.it/search?q=augusta+terremoto&hl=it&rlz=1T4GGIC_it&start=40&sa=N
http://www.siciliainformazioni.com/giornale/cronaca/48721/priolo-catania-sisma-previsto-unaltra-tragedia-annunciata.htm
http://emidius.mi.ingv.it/GNDT/pe98_prog6b2.html
http://209.85.129.132/search?q=cache:9Wq2PGcvXCwJ:www.sampognaro.it/DATE_TERREMOTI.doc+augusta+terremoto&cd=66&hl=it&ct=clnk&gl=it
http://www.apat.gov.it/site/_contentfiles/00138100/138193_BrochureSiracusa10dicembre2004.pdf
http://interno18.it/cronaca/7444/per-litalia-il-terremoto-piu-devastante-del-nuovo-millennio
http://forum.lasiciliaweb.com/index.php?topic=2806.0
http://www.google.it/search?q=augusta+terremoto&hl=it&rlz=1T4GGIC_it&start=90&sa=N
http://www.geocities.com/elidoro/tsunami/ts_italia.html
http://www.geoforum.it/ubbthreads.php?ubb=showflat&Number=64750
http://www.dst.unipi.it/dst/santacroce/2009.9%20-%20Il%20terremoto%20e%20lo%20tsunami%20di%20Sumatra.pdf
http://www.facebook.com/group.php?gid=97210377728
http://www.editorialeagora.it/rw/articoli/106.pdf
http://www.flickr.com/groups/helpabruzzo/discuss/72157617139714154/
http://www.unonotizie.it/3914-sicilia-comitati-associazioni-e-liberi-cittadini-insieme-per-difendere-ambiente-e-beni-comuni.php

lunedì 8 giugno 2009

IL PIU' GRAVE TERREMOTO CHE HA COLPITO L'EUROPA IN EPOCA STORICA

1693
Trascrizione del testo di:
Salvatore Nicolosi,
APOCALISSE IN SICILIA:
il terremoto del 1693. Tringale Editore.

"Ma gli uomini e gli elementi aveano congiurato di travagliare in ogni tempo la sempre desolata Augusta e funestissimo più d’ogni altro fu l’anno 1693.
Fin dal 9 gennaro violenti scosse di terremoto e turbini fieri di aggruppati venti atterrirono gli augustani, molti dei quali in una indicibile perplessità fuggirono dall’abitato in luoghi aperti, alzando dapertutto capanne di legno onde scampare ad un eccidio fatale che li minacciava ad ogni istante e bene perloro, avvegnaché il giorno 11 verso 20 ore italiane una violenta scossa fa precipitare tutto l’abitato. La terra sembrò innalzarsi ed ondeggiare; un profondo abisso spalancossi sotto il molo come la voragine d’un vulcano; una densa nube di polvere alzavasi per l’aria, di già ottenebrata da neri nuvoloni; e pioggia e grandine seguita da un turbine di vento alternossi per più d’un’ora. A tal terrore, altri più forti se ne aggiunsero, pei quali il popolo si vide vicino all’ultimo esterminio. Mentre, o si cercavan sotto le macerie i congiunti mutilati e agonizzanti, o si fuggiva all’impazzata gridando misericordia; appiccossi improvvisamente fuoco alle munizioni della cittadella, rovinando il resto delle case, che avean resistito alla furia del terremoto. Né qui finiva l’orrenda catastrofe! Le acque del porto ritiraronsi per più d’un miglio verso le fortezze Garzia e Vittoria, formando un’onda sola e scatenandosi poi con gran fracasso vennero a riversarsi sulle macerie della città. (81) Nulla restò dell’abitato e quel ch’è peggio si ebbero a contare 3.200 vittime del fatale flagello.
Liberi finalmente da quei disastri, fu commovente scena il veder ritornare i cittadini con impresse le vive traccie del terrore, ancora sul viso; e quando tutti fero ritorno, i magistrati, il clero, i religiosi, il popolo, in abito di penitenza implorarono la clemenza divina, girando attorno col Sacramento in processione. (82)
Indi aiutati in gran parte dagli operai che trovavansi numerosi nella ricetta di Malta, misero mano a riedificar le proprie case, e con bella gara si videro dedicare all’improbo lavoro, tutte le braccia senza distinzione d’età, di sesso, di ceto. E prontamente pensossi alla riedificazione d’una sola chiesa, per celebrarvisi i divini sacrifizii e le pubbliche preghiere (83); così nel breve corso di 2 anni, Augusta risorse tutta dalle sue rovine; sicché il viceré duca d’Uzzeda restò meravigliato nel veder prontamente riparati i terribili effetti del terremoto, e volle perciò anch’egli concorrervi apprestando mezzi larghi davvero, qual si dovevavo in quelle tristissimi occasioni (84). Le fortezze furono poi riparate nel 1702 mercé la cura del cardinal Francesco Giudice, allora viceré, il quale volle qui fermarsi tutto il mese di novembre di quell’anno". (pagg. 90-93)

Augusta (ab. 6.173; morti 2.300)
Città demaniale. Tutte le fonti sono concordi nel riportare il numero degli abitanti e quello delle vittime. (pag. 119)

IL PIU' GRAVE TERREMOTO CHE HA COLPITO L'EUROPA IN EPOCA STORICA



Trascrizione del testo di Salvatore Nicolosi
APOCALISSE IN SICILIA
il terremoto del 1693
Tringale Editore

SI VIDDE PER ARIA UN INFERNO

Anche per Augusta «Città di negozio, bella si per sito, e fabbriche, e ricca per il Mercantile», i "defonti" furono, secondo le notizie di varia fonte, 2.300 a sentire il Boccone, 3.000 secondo il Muglielgini, più di 3.000 secondo il Paglia L' ultimo "rivelo" le aveva attribuito 6.173 abitanti. La percentuale delle vittime oscillava dunque fra il 40 e il 50 per cento. In quell'«Isola in largo seno di mare», ché su un isola sorgeva ed è tuttora installata la città, il castello fu scompigliato dal terremoto, la «confricazione de' sassi» produsse scintille e le scintille appiccarono l'incendio alle polveri ammassate nel sotterraneo, le polveri esplosero, il castello volò in pezzi e «si vidde per aria un Inferno». A un rombo sordo, scricchiolante e prolungato che veniva dal suolo e dal sottosuolo si sovrappose un altro rombo, secco ma amplificato da molti echi, sprigionatosi dal castello che saltava in aria: spaventevole fracasso, reso ancor più spaventevole dall'immagine complessiva che si offriva agli spettatori-protagonisti.
Dovette essere davvero una bolgia, per qualche istante: gli edifici «volarono fino in Campagna ad uccidere con pioggie di sassi que' Cittadini ch'eran scampati dalle rovine».
L'accademico Muglielgini usò parole terribili e, insieme, patetiche: «ogni sasso che volò à gl'impulsi della polvere formò un gran sepolcro à tutti i Cittadini. Per le campagne viddesi scatenato l'Inferno, mentre una foltissima pioggia di sassi lapidò la vita a quei meschini, che campati erano dal naufraggio della Città». E rincarava la dose, più teatrale e fantasioso, con qualche tocco di macabro, il padre Boccone: «Un Passaggiero, che si trovava distante tre miglia d'Agosta, fatalmente fù colpito in testa da una pietra, portata à volo dall'incendio di essa polvere del Castello. Nella Piazza d'Arme poi di esso castello ad alcuni fù levato il Capo dal busto, ad altri un braccio, é a molti le gambe, e le cosce infrante. Un Bambino lattante, che stava in braccia della Madre hebbe troncata la testa, senza vedersi il feritore, e l'homicida». Inoltre: «Il Mare infuriato spruzzava spaventi, fino a giungere tempestoso alle mura del celebre Convento di S. Domenico: tanto che alcune Galee della Religione di Malta, ch'eran in quel Porto ebbero a sudare, per non patir naufragio».
Quel che, pur danneggiato, riuscì a sopravvivere, fu poco: del castello, che era una costruzione robusta, si salvarono solamente parte dei baluardi; i moli del porto, nei quali si aprirono immense falle; la torre d'Avola (il faro), situata fuori del porto, della quale cadde tuttavia la lanterna. Per il resto: totalmente distrutta la città e un subbisso di morti e feriti. Era stato vano, per molti, correre all'aperto. Non essendoci nella cittadina molte piazze, si poté soltanto restare, tremando di freddo e di paure, sulla strada principale, la più ampia. Ma quando la grande scossa diroccò tutto, le costruzioni dell'una e dell' altra parte si rovesciarono e le pietre strinsero gli augustani da destra e da sinistra, come una tenaglia, e per il moto del suolo li stritolarono.
Fu una strage. «Luctus ubique, pavor, et plurima mortis imago», concludeva Boccone". (pagg. 113-114)

IL PIU' GRAVE TERREMOTO CHE HA COLPITO L'EUROPA IN EPOCA STORICA

RELAZIONE SUL TERREMOTO DEL 1693
SCRITTA DA UNA RELIGIOSA
DEL MONASTERO DI S. CATERINA DI AUGUSTA.

1693

«Nel suddetto anno 1693 vi furono in tutta questa Val di Noto, e più d'ogni altra parte in questa suddetta Città d'Augusta, due orribili e spaventosi terremoti; il primo a 9 gennaio, giorno di Venerdì, ad ore quattro e mezza di notte; ed il secondo ad 11 di detto mese, giorno di Domenica ad ore 21.
Il primo terremoto, della suddetta notte, ridusse questo Venerabile Monastero in tale lagrimevole stato, che apportava orrore a chi lo mirava. Le mura restarono traboccanti e quasi in atto di precipitare a momenti; parte di quel della Chiesa e del Lettorino rovinati; i dammusi aperti; i travi e i tetti allargati dalle mura; la medietà della Torre caduta e l'altra medietà cadente, e tutto il recinto della Clausura spiantato sino al suolo: restò insomma talmente sconfitto che il giorno seguente che fu Sabato, fu di bisogno levarsi da quella Venerabile Chiesa le sacre particole e lasciarla senza il Santissimo Sacramento. Però per misericordia del Signore, tra tante rovine, nessuna Religiosa morì in quell’orrenda notte; solamente una Diacona precipitò, con tutto il tavolato dall'alto a basso e fu coperta da alcune pietre, però senza nessun danno alla sua persona.
Il tetto, i pilastri, i dammusi ed il Campanile della Chiesa Madre caddero tutti intieri e seppellirono i sacri altari e gli ornamenti della sagrestia.
Nel venerabile Convento della Beatissima Vergine del Carmine precipitò un dormitorio e uccise quei buoni Religiosi che ivi abitavano; i Venerabili Conventi di S. Domenico dei Reverendi Padri Cappuccini, dei Minori Osservanti e dei Padri Paolini restarono totalmente inabitabili. Le chiese tutte patirono il medesimo fracasso: chi ebbe tele di mura cadute e chi campanili, con tutte le campane, precipitati;
ed in alcune, col furioso tremore della terra, saltarono le lapidi delle sepolture, e rimasero le loro bocche aperte.
Caddero quasi tutti i palagi, e quelli che restarono in piedi non erano più atti a potersi abitare: medesimamente le case basse e botteghe e magazzini di tutta la Città.
Nella suddetta notte morirono nella Città duecento e più persone di ogni sesso, età, stato e condizione, ed un Reverendo Cappellano Curato, benché restò vivo, campò pochi giorni con una gamba macinata dall'intaglio della propria porta che lo giunse mentre cercava fuggire nella strada. Tutto il Sabato seguente ad altro non si attese che a disseppellire i cadaveri, di uomini e di donne, di gentiluomini ed artigiani, di preti e regolari, di operai, pescatori e marinari; tutti uccisi all'improvviso dalle fabbriche, mentre dormivano spensierati nel proprio letto, il suddetto terremoto, che replicò la suddetta Domenica ad ore 21, fu così gagliardo e furioso, che totalmente spiantò tutti i Conventi, tutte le Chiese, tutti i Palagi e tutte le case, senza lasciare nella Città né segni di edifici, né vestigia di abitazioni, né forma di strade; nemmeno un palmo di pianura. Nessuno poté allora raffigurare dove era situata la sua casa. Restò insomma Augusta un deserto: un mucchio di pietre e di fabbriche distese in terra. Altro non restò in piedi di tutta la Città che una piccola grotta dove stava riposta la miracolosa Immagine della Vergine Santissima del Soccorso, e, nella campagna, la sola grotta della Vergine Gloriosa di Santa Maria Adonai fu esente da tanta rovina, e pochissime case nel feudo del Monte, e tutte le altre abitazioni, Chiese e torri del territorio, patirono anche il medesimo fracasso, con la morte di tutti quei poveri uomini che ivi si trovavano. Il Castellano della Brucola patì molto danno, nella fortezza Reale di Torre Avolos, la torre che serviva da pubblica lanterna traboccò tutta a mare.
La statua del glorioso Patriarca San Domenico, tuttoché ebbe di sopra le mura della Chiesa e buona parte della fabbrica del convento si dissotterrò nondimeno dopo alcune settimane sana ed intera.
Morirono in questo lagrimevole giorno in tutta la Città e territorio tremila e più persone. Tutte quelle numerose famiglie che dopo il terremoto del cennato Venerdì notte si posero sotto padiglioni nel mezzo delle pubbliche strade fidandosi della loro larghezza; le medesime strade le servirono di sepoltura, poiché la mura dell'una e l'altra parte vi caddero di sopra e le seppellirono vive: altro non si udiva sotto quelle rovine che voci e lamenti, né nessun uomo che restò sano e vivo ebbe animo di dare aiuto a quei poveri moribondi, ma ognuno dava cura a fuggire verso le marine; e quei miseri che erano mezzi sepolti, morirono tutti la notte seguente di spavento, di spasimi, di dolore.
Svampò anche all'improvviso la numerosa quantità della polvere del Castello Reale e buttò a terra una delle sue torri e la fe’ volare tutta per l'aria e fece un'orrenda pioggia di furiose pietre e tutta quella numerosa gente che dopo il primo terremoto si era ritirata nel piano del Castello, per non morire sotto le mura aperte e cadenti delle proprie case ritrovò la morte nel campo aperto di quella Piazza d'armi.
Si videro più di settecento persone in quella lagrimevole pianura smembrate e fieramente uccise.
Morì ancora l'illustre Ricevitore della Gerosolimitana Religione di Malta e numero grande di gente delle sue galere, quali si ritrovavano allora in questo Porto; e la suddetta Squadra subito che fe’, ritorno nella sua Isola, fu seriamente spedita da quell'Eminentissimo Gran Maestro a dare aiuto a questa rovinata città e portò quantità di Medici e Chirurgi, oltre a grande provisione di biscotto.
Tutta la notte di quella memorabile domenica la terra sempre fu un continuo moto e tremore, facendo orribile e spaventosa tuonatina; svaporando per ogni parte un vapore sulfureo a modo di bassa e visibile fiamma ».

(B.C.A., Msc. Raccolta Blasco. Vol. 638, pubblicato da Tullio Marcon in
N.S.A., n. 4. XX p. 103)

ad Augusta il silenzio di stato è sempre un obbligo

Sicilia Imprenditoriale
27 aprile 1991

SIRACUSA: Il professor Boschi teme gli effetti di una forte scossa

Cosa si nasconde dietro il «terremoto censurato»

Si cerca, di sapere cosa è successo al polo petrolchimico il 13 dicembre

AUGUSTA - La città lo definisce “il terremoto censurato”, nel senso che, accanto a quello ufficiale, c'è stato un terremoto di cui si parla a bassa voce e sul quale né lo Stato ha fornito spiegazioni sufficienti, né la stampa (tranne eccezioni) si è soffermata in maniera approfondita.
È il terremoto che nella notte di Santa Lucia ha colpito il polo petrolchimico di Augusta, una concentrazione di tredici industrie, definite dalla Legge Seveso, "ad alto rischio ambientale".
Proprio un terremoto al petrolchimico, secondo quanto dicono gli scienziati di mezza Europa, potrebbe causare "una vera e propria apocalisse ecologica".
Già in epoca non sospetta (1987) il professor Enzo Boschi, presidente della Commissione Grandi Rischi, diceva: «Un terremoto nella fascia tra Siracusa e Catania provocherebbe un disastro mille volte più grave di Chernobyl». Il riferimento al polo di Augusta era chiaro.
Ma cosa è accaduto in quelle industrie la notte del 13 dicembre? .
Un muro di omertà circonda questa vicenda. La Lega Ambiente di Priolo, tuttavia, sei giorni dopo il sisma, approntava una scheda-denuncia nella quale venivano elencati alcuni danni: secondo l'associazione ambientalista, nelle strutture petrolchimiche “è saltato un trasformatore di 150 mila volts, gli agganci risultano tranciati, è caduto un camino, sono saltati i refrattari di un forno”. E inoltre: "Si sono rotti alcuni supporti della condotta di ammoniaca, diverse strutture murarie sono lesioniate, ha ceduto il basamento di un serbatoio".
A distanza di tre giorni, il Movimento Federativo Democratico (MFD) chiedeva ufficialmente al Ministero dell'Ambiente di indagare "sullo stato del polo chimico di AugustaPriolo-Melilli a seguito del terremoto". «A fine gennaio - afferma il responsabile del MFD, Massimo Coen Cagli - giungeva una lettera molto vaga dell'ISPESL (Istituto Superiore per la Previdenza e la Sicurezza sul Lavoro, organo collegato al Ministero dell'Ambiente e della Sanità) nella quale era scritto che "sulla base delle segnalazioni pervenute dalle industrie, non era stato accertato alcun danno di rilievo. Noi riteniamo che invece di chiedere delle informazioni generiche il cui esito, peraltro, appariva scontato fin dall'inizio, il ministero avrebbe fatto bene a inviare degli ispettori nella zona segnalata».
Ufficialmente, quindi, nessun danno.
Questo non vuole dire, però, che il pericolo sia cessato, anzi, proprio la Sicilia orientale (e in modo particolare Augusta), in base alla Legge dell’81, è stata dichiarata "zona ad alto rischio sismico". Secondo uno studio statistico che ha tenuto in considerazione i terremoti dei secoli passati, le aree più a rischio, oltre alla Sicilia orientale, sono state considerate l'Appennino Meridionale (dalla Calabria alla Marsica), l'Appennino Tosco-romagnolo, la Garfagnana e il Friuli. Tenendo in considerazione questi dati, è stata approntata una ripartizione territoriale che definiva S = 6 le zone a minor rischio sismico; S = 9 quelle a rischio intermedio; ed S = 12 le zone ad alto rischio.
«Il fatto strano - afferma don Palmiro Prisutto, componente della Lega Ambiente e del movimento Città per l'Uomo di Augusta - è che questa zona notoriamente ballerina, sia stata classificata S = 9».
Per quale motivo?
«Lo Stato ogni anno percepisce dalle industrie circa 20 mila miliardi. Se Augusta fosse stata dichiarata zona S = 12 questo vortice di miliardi sarebbe stato messo in discussione. E invece si preferisce rimuovere il pericolo al posto di affrontarlo seriamente. È evidente che l'esistenza del polo petrolchimico condiziona moltissimo - aggiunge il professor Giovanni Campo, docente di Pianificazione Urbanistica dell'Università di Catania -. Se la zona del siracusano (che in passato è stata l'epicentro di terremoti apocalittici come quello del 1693 che distrusse Catania) venisse considerata S = 12 (come sarebbe giusto) bisognerebbe rifare tutti gli impianti, a partire dai depositi e dai serbatoi, e probabilmente alcune lavorazioni dovrebbero essere smantellate e trasferite in territori più sicuri. Il che non sarebbe conveniente in termini economici allo Stato. Meglio lasciare tutto così com'è, con la speranza che non accada nulla. È da incoscienti sperare che non accada nulla, malgrado le previsioni di una scossa molto più forte di questa».
Già nel 1985 ad Augusta si sfiorò la tragedia ecologica in seguito ad una nube tossica che si sprigionò alla raffineria ICAM a causa di uno scoppio.
Ma non è tutto: «Un terremoto di certe dimensioni - afferma don Prisutto - potrebbe causare un'altra catastrofe negli arsenali chimici (e forse atomici) custoditi nelle viscere della terra in una frazione di Melilli, ad un tiro di schioppo da qui». Intanto lo Stato manda a dire che non ci sono i soldi per la ricostruzione.
Luciano Mirone

ad Augusta il silenzio è sempre un obbligo

È il “Belknap” ad Augusta


La Sicilia
primo giugno 1989

la collisione con la portaerei “Kennedy” che per poco non provocò un disastro nucleare
È il “Belknap” ad Augusta
L'incrociatore fu trascinato in quel porto
Il comando della marina militare nei giorni scorsi ha smentito, ma alcune foto scattate all'epoca e fatte pervenire al nostro giornale all'agenzia Ansa affermano il contrario

Alcune fotografie finora mai pubblicate hanno fatto ritornare di attualità l'incidente che nel 1975 fece temere un disastro nucleare nello Jonio con conseguenze inimmaginabili per buona parte della Sicilia.
Come si ricorderà - dell'incidente per la prima volta si è parlato soltanto dei giorni scorsi - il 22 novembre di quell'anno, a tarda sera, due unità della sesta flotta americana, l'incrociatore lanciamissili “Belknap” e la portaerei “John F. “Kennedy” , entrarono in collisione nel mare Jonio, in acque internazionali, 70 miglia e circa 130 chilometri ad est della Sicilia, mentre si svolgeva una esercitazione di volo notturno. La parte sporgente del ponte di volo della portaerei spazvia le sovrastrutture del “Belknap”, sul quale si sviluppò un incendio che venne spento soltanto dopo due ore e mezzo. Dopo l'incidente, che causò 8 morti e 45 feriti, il “Belknap” trasbordò alcuni missili terrier di cui era armato su altre navi impegnate nella manovra, e venne poi rimorchiato nel porto di Augusta, dove arrivò all'alba di lunedì 24 novembre.
All'epoca non venne precisato che i terrier avevano testate nucleari e che le fiamme erano arrivate una dozzina di metri dai missili facendo temere un disastro atomico, al punto che l'ammiraglio Eugene Carroll, comandante dell'esercitazione, diede l'allarme in codice di “broken arrow” (freccia spezzata) per segnalare un'“alta probabilitàdi coinvolgimento delle armi atomiche nell'incidente.
Il comando della marina militare di Augusta ha sempre taciuto l'episodio, nei giorni scorsi, anzi ha smentito l'arrivo del Belknap in porto. Ma è appunto ad Augusta che è stata scattata l'immagine che pubblichiamo, scattata all'epoca dal fotografo Ragonese, il quale mostra la nave da una angolazione dalla quale i danni appaiono in tutta la loro gravità. Altre due fotografie sono giunte all'agenzia Ansa accompagnate da una lettera in cui un anonimo si definisce “ex graduatodella marina militare italiana".
"Ho avuto occasione di vedere l'incrociatore Belknap - scrive l'anonimo -dopo la collisione con la portaerei che l'ha ridotto ad un rottame -. Ho deciso di parlare perché alcuni giornali hanno scritto che il comando della marina militare di Augusta avrebbe smentito l'arrivo dell'unità nel porto Augustano. Invece, dopo la collisione, il Belknap venne portato proprio ad Augusta, e ritengo che la gente abbia il diritto di saperlo: (omissioni come quella sul disastro aereo di Ustica) non devono più ripetersi".
"Quell'anno - continua la lettera - mi trovavo ad Augusta con la mia nave, e al molo di fronte attraccò il Belknap. Impressionato dalle condizioni della nave scattai alcune fotografie. Non sapevo ancora dei missili. Se le fiamme li avessero raggiunti non credo che sarebbero esplosi, ma avrebbero inquinato il mare. Il problema è che le leghe usate per costruire certe navi non offrono sufficiente protezione ai carichi atomici".
Da segnalare che, secondo il settimanale "Avvenimenti" in edicola oggi, in almeno sette circostanze, negli ultimi anni, nei mari davanti alle nostre coste e davanti alle coste italiane si sono verificati incidenti gravi che hanno coinvolto navi e aerei Usa in grado di trasportare bombe nucleari. Il settimanale ha condotto una ricerca partendo dalle informazioni rese note nei giorni scorsi da Greenpeace. Secondo quanto ha appurato Avvenimenti oltre alla collisione fra la “Kennedy” e il “Belknapè avvenuto quanto segue:
l'11 gennaio del 1977, due miglia a nord di Capo Peloro, la portaerei a propulsione nucleare e dotata di armi atomiche Roosevelt speronava il mercantile “Oceanus”, battente bandiera liberiana;
il 6 ottobre 1977, sempre nelle stesse acque, la portaerei Saratoga (carica di ordigni nucleari) entrava in collisione con il mercantile austriaco “Ville d'orient”,
il 14 maggio del 1985, nella rada di Augusta, durante una esercitazione di allarme simulato il lanciamissili “Sellersdotato di testate nucleari antisommergibili, si è incagliato di poppa nel basso fondale;
il 17 novembre e 1981 un aereo normalmente dotato di bombe atomiche, tipo S/3A Viking” decollato dalla portaerei “Nimitz” al largo di Ustica è precipitato in mare (morti quattro membri dell'equipaggio);
il 25 maggio 1983, al largo delle coste palermitane, si è inabissato un aereo da attacco Corsari” anch'esso dotato di armamento atomico;
il primo aprile 1986, davanti alla rada di Augusta scontro tra un aereo e un elicottero che sta atterrando sulla portaerei “Americae il velivolo un “SH3 Seaking” che svolgeva funzioni antisommergibili, solitamente imbarcava bombe di profondità nucleare del tipo “B 57”

ad Augusta il silenzio è sempre un obbligo

LA SICILIA
27 MAGGIO 1989

Verso quale porto si diresse la nave Usa speronata dalla portaerei 14 anni fa?
L 'incrociatore non entrò ad Augusta

AUGUSTA - La notizia sulla collisione fra due navi statunitensi, la portaerei Kennedy e l'incrociatore Belknap, avvenuta il 22 novembre del 1975 al largo delle coste siciliane, che allora avrebbe coinvolto, sia pure indirettamente il porto di Augusta, per aver ospitato la nave danneggiata, ha sorpreso autorità civili e militari e la popolazione megarese.
L'incidente, che avrebbe potuto provocare una esplosione nucleare è avvenuto quattordici anni fa e allora, come oggi, le notizie vennero conosciute da Augusta solo attraverso i giornali e gli altri mezzi audiovisivi. Nessuno in città (falso!) ricorda che l'incrociatore Belknap sia mai entrato nel porto e. sia andato all'ormeggio al pontile Nato, nei pressi dell'odierno stabilimento Selm della Montedison.
Al comune dell'incidente navale si hanno sbiaditi ricordi; al comando della base navale per i più si tratta di un fatto che ha marginalmente interessato il porto di Augusta. Fonti qualificate, (quali?) infatti, ci hanno assicurato che dagli atti ufficiali non figurano riscontri dell'arrivo in città dell'incrociatore speronato dalla portaerei Kennedy.
Non risulta dai movimenti di naviglio italiano e alleato che vengono annotati presso l'ufficio operativo della base navale che sia mai entrato nel porto l'incrociatore Usa, anche se tutti gli appunti, ufficialmente, vengono conservati soltanto per sei anni, per evitare l'eccessivo e inutile accumulo di scartoffie. E dal 1975 di anni ne sono trascorsi 14.
Può essere accaduto che l'allora comandante delle forze statunitensi nel Mediterraneo, ammiraglio Eugene Carrol, avesse impartito l'ordine all'incrociatore danneggiato di dirigere su Augusta, ma molto più verosimilmente, anzi certamente, durante la navigazione la nave mutò rotta dirigendo verso un porto predisposto per grosse riparazioni al naviglio nordamericano.
Dagli atti conservati a Cava del Sorciaro (dove, in gran segreto, probabilmente vennero traslocate le testate nucleari), dove vengono custodite le munizioni per le navi Nato, missili compresi, non risulta che l'incrociatore Usa, nel 1975 abbia scaricato munizioni o missili a testata nucleare. Tale notizia è confermata da un ufficiale del Cemm, allora maresciallo in servizio proprio al deposito munizioni. Il coordinamento
delle associazioni ambientalistiche di Augusta ha colto l'occasione per diffondere un comunicato in cui si sottolinea che la tragedia nucleare sfiorata nel novembre del 1975 (denunciata da Green Peace), in conseguenza della collisione fra due navi Usa, ripropone il tema del pesante vincolo militare posto sull'isola e il particolare rischio con il quale Augusta è costretta a convivere.
Il comunicato poi sottolinea che il deposito armi Nato si trova in località Cava Sorciaro, fianco a fianco con le raffinerie e a circa 600 metri dal pontile superpetroliere della Montedison. Il coordinamento degli ambientalisti, dopo aver ricordato l'esplosione all'Icam di Priolo del 1985 e aver sottolineato che l'Italia ha rinunciato all'uso del nucleare, ha stigmatizzato come di converso acriticamente dia ospitalità a navi nucleari Usa, evidenziando che fra il 28 e 30 marzo dell'89, ben quattro sommergibili nucleari siano rimasti dentro il porto di Augusta.
Il Coordinamento nel fare rimarcare i numerosi incidenti accaduti in questi anni nel settore militare fa presente che oggigiorno si impongono delle scelte per la difesa della salute e della vita agli abitanti e si ponga finalmente mano al risanamento dell'ambiente fin troppo compromesso, mare Mediterraneo compreso.

Enrico Busacca

(ALCUNI GIORNI DOPO ANCHE LA SICILIA RIPORTAVA LE FOTO DEL BELKNAP AD AUGUSTA – ALL’EPOCA ANCHE I TG NAZIONALI AVEVANO RIPRESO IL BELKNAP MENTRE ENTRAVA NEL PORTO DI AUGUSTA, MA NULLA SI ERA DETTO DELL’ARMAMENTO NUCLEARE DELLA NAVE)

su Augusta il silenzio è sempre stato un obbligo

34 anni fa la Sicilia rischiò un disastro nucleare


La Sicilia
26 maggio 1989
14 anni fa la Sicilia rischiò un disastro nucleare

Washington -
14 anni fa nello Jonio fu sfiorato il disastro nucleare. Rischiarono di esplodere, dopo una collisione con la portaerei “Kennedy”, i missili armati con testate atomiche a bordo dell'incrociatore “Belknap”. Al momento dell'incidente, il 22 novembre 1975, le unità statunitensi erano a poca distanza dalle coste italiane 80 chilometri a sud della Calabria e poco più di 100 dalla Sicilia.
A rendere noto l'episodio sono due ricercatori americani, William Arkin, esperto militare dell’“Institute per Policy Studies”, e Toshua Wandler, di Greenpeace.
Il loro rapporto indica che l'incendio sulle “Belknap” arrivò a 12 metri dai missili, tanto che dalla “Kennedy” l'ammiraglio Eugene Carroll fu costretto a emettere l'allarme “broken arrow” (“freccia spezzata”, il livello più alto di allerta per incidente del genere), segnalando a Washington “un'alta probabilitàche le testate nucleari del “Belknappotessero prendere fuoco ed esplodere.
"La marina americana però - ha detto Nandler - ha tenuto nascosta la presenza di armi nucleari sulla nave, negando addirittura che in quell'occasione sia stato emesso un allarme “broker arrow”.
Le due navi americane entrarono in collisione di notte durante un'esercitazione aeronavale. La parte aggettante del ponte di decollo della “Kennedy” colpì il “Belknap” mentre il carburante dei jet della portaerei prendeva fuoco innescando esplosioni a catena a bordo dell'incrociatore.
Secondo gli esperti americani, l'incendio arrivò a lambire il deposito della nave dov'erano custoditi 60 missili, alcune dei quali del tipo “terrier” equipaggiati con testate nucleari. Tre ore e mezzo dopo le fiamme erano domate, ma l'incrociatore era semidistrutto e otto marinai avevano perso la vita. Dalla “Kennedy” l'ammiraglio Carroll, allora comandante della task force 60 della marina Usa, aveva intanto dato l'allarme al comando militare nazionale presso il Pentagono indicando alta probabilità che armi nucleari sul “Belknap” siano coinvolte nell'incendio seguito alla collisione. Nessuna diretta comunicazione con il “Belknap” al momento, nessuna prova che le esplosioni siano direttamente collegate alle armi nucleari. Le vittime finora recuperate non mostrano esposizione alle radiazioni".
Sei anni dopo l'incidente il dipartimento della difesa pubblicò una lista di 32 incidenti militari che avevano coinvolto armi nucleari tra il 1950 e il 1980, senza menzionare quello del “Belknap”.
“Il dipartimento della difesa mente per nascondere la presenza di armi nucleari sulle navi che frequentano porti stranieri, accusa William Arkin. Il Pentagono da parte sua, rifiuta di commentare il rapporto, citando la politica americana di non confermare smentire la presenza di armi atomiche su unità militari."Nell'incidente non furono danneggiate armi nucleari", ha dichiarato un portavoce della marina.
Raggiunto in California dopo dove vive dopo essere andato in pensione, l'ammiraglio Carroll ha però confermato di avere emesso l'allarme “broken arrow”. Era terribile - ha aggiunto - sembrava che la nave potesse affondare. Per quanto potevo vedere dalla “Kennedy” c'era la possibilità che le testate fossero raggiunte dalle fiamme ".
Dopo la collisione, l'incrociatore, ridotto ormai a un relitto fu rimorchiato nel porto di Augusta dove, secondo i due esperti, i missili vennero trasferiti su un'altra unità statunitense. Per decontaminare il “Belknap” ci volle un mese, poi il relitto fu trainato attraverso l'Atlantico fino a Filadelfia dove rimase in cantiere per quattro anni. L'ammiraglio di divisione che comandava la squadra di cui le due unità facevano parte, Eugene Carroll, ha confermato l'incidente e ne ha segnalati altri due. Nel primo le fiamme avevano lambito un aereo sul quale si trovava un ordigno nucleare, mentre nell'altro una bomba era rimasta schiacciata in un apparecchio utilizzato per imbarcare le armi sulle navi. Carroll ha comunque aggiunto che in nessuno dei tre casi si è corso il rischio di un'esplosione, anche se potrebbe essersi verificata una perdita di radiazioni nucleari. Della collisione fra l'incrociatore e la portaerei “Kennedy” nello Jonio era stata data notizia, ma il Pentagono non aveva mai rivelato che a bordo della prima unità vi fossero armi atomiche.
Alessandra Baldovini