lunedì 8 giugno 2009

ad Augusta il silenzio di stato è sempre un obbligo

Sicilia Imprenditoriale
27 aprile 1991

SIRACUSA: Il professor Boschi teme gli effetti di una forte scossa

Cosa si nasconde dietro il «terremoto censurato»

Si cerca, di sapere cosa è successo al polo petrolchimico il 13 dicembre

AUGUSTA - La città lo definisce “il terremoto censurato”, nel senso che, accanto a quello ufficiale, c'è stato un terremoto di cui si parla a bassa voce e sul quale né lo Stato ha fornito spiegazioni sufficienti, né la stampa (tranne eccezioni) si è soffermata in maniera approfondita.
È il terremoto che nella notte di Santa Lucia ha colpito il polo petrolchimico di Augusta, una concentrazione di tredici industrie, definite dalla Legge Seveso, "ad alto rischio ambientale".
Proprio un terremoto al petrolchimico, secondo quanto dicono gli scienziati di mezza Europa, potrebbe causare "una vera e propria apocalisse ecologica".
Già in epoca non sospetta (1987) il professor Enzo Boschi, presidente della Commissione Grandi Rischi, diceva: «Un terremoto nella fascia tra Siracusa e Catania provocherebbe un disastro mille volte più grave di Chernobyl». Il riferimento al polo di Augusta era chiaro.
Ma cosa è accaduto in quelle industrie la notte del 13 dicembre? .
Un muro di omertà circonda questa vicenda. La Lega Ambiente di Priolo, tuttavia, sei giorni dopo il sisma, approntava una scheda-denuncia nella quale venivano elencati alcuni danni: secondo l'associazione ambientalista, nelle strutture petrolchimiche “è saltato un trasformatore di 150 mila volts, gli agganci risultano tranciati, è caduto un camino, sono saltati i refrattari di un forno”. E inoltre: "Si sono rotti alcuni supporti della condotta di ammoniaca, diverse strutture murarie sono lesioniate, ha ceduto il basamento di un serbatoio".
A distanza di tre giorni, il Movimento Federativo Democratico (MFD) chiedeva ufficialmente al Ministero dell'Ambiente di indagare "sullo stato del polo chimico di AugustaPriolo-Melilli a seguito del terremoto". «A fine gennaio - afferma il responsabile del MFD, Massimo Coen Cagli - giungeva una lettera molto vaga dell'ISPESL (Istituto Superiore per la Previdenza e la Sicurezza sul Lavoro, organo collegato al Ministero dell'Ambiente e della Sanità) nella quale era scritto che "sulla base delle segnalazioni pervenute dalle industrie, non era stato accertato alcun danno di rilievo. Noi riteniamo che invece di chiedere delle informazioni generiche il cui esito, peraltro, appariva scontato fin dall'inizio, il ministero avrebbe fatto bene a inviare degli ispettori nella zona segnalata».
Ufficialmente, quindi, nessun danno.
Questo non vuole dire, però, che il pericolo sia cessato, anzi, proprio la Sicilia orientale (e in modo particolare Augusta), in base alla Legge dell’81, è stata dichiarata "zona ad alto rischio sismico". Secondo uno studio statistico che ha tenuto in considerazione i terremoti dei secoli passati, le aree più a rischio, oltre alla Sicilia orientale, sono state considerate l'Appennino Meridionale (dalla Calabria alla Marsica), l'Appennino Tosco-romagnolo, la Garfagnana e il Friuli. Tenendo in considerazione questi dati, è stata approntata una ripartizione territoriale che definiva S = 6 le zone a minor rischio sismico; S = 9 quelle a rischio intermedio; ed S = 12 le zone ad alto rischio.
«Il fatto strano - afferma don Palmiro Prisutto, componente della Lega Ambiente e del movimento Città per l'Uomo di Augusta - è che questa zona notoriamente ballerina, sia stata classificata S = 9».
Per quale motivo?
«Lo Stato ogni anno percepisce dalle industrie circa 20 mila miliardi. Se Augusta fosse stata dichiarata zona S = 12 questo vortice di miliardi sarebbe stato messo in discussione. E invece si preferisce rimuovere il pericolo al posto di affrontarlo seriamente. È evidente che l'esistenza del polo petrolchimico condiziona moltissimo - aggiunge il professor Giovanni Campo, docente di Pianificazione Urbanistica dell'Università di Catania -. Se la zona del siracusano (che in passato è stata l'epicentro di terremoti apocalittici come quello del 1693 che distrusse Catania) venisse considerata S = 12 (come sarebbe giusto) bisognerebbe rifare tutti gli impianti, a partire dai depositi e dai serbatoi, e probabilmente alcune lavorazioni dovrebbero essere smantellate e trasferite in territori più sicuri. Il che non sarebbe conveniente in termini economici allo Stato. Meglio lasciare tutto così com'è, con la speranza che non accada nulla. È da incoscienti sperare che non accada nulla, malgrado le previsioni di una scossa molto più forte di questa».
Già nel 1985 ad Augusta si sfiorò la tragedia ecologica in seguito ad una nube tossica che si sprigionò alla raffineria ICAM a causa di uno scoppio.
Ma non è tutto: «Un terremoto di certe dimensioni - afferma don Prisutto - potrebbe causare un'altra catastrofe negli arsenali chimici (e forse atomici) custoditi nelle viscere della terra in una frazione di Melilli, ad un tiro di schioppo da qui». Intanto lo Stato manda a dire che non ci sono i soldi per la ricostruzione.
Luciano Mirone

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