34 anni fa la Sicilia rischiò un disastro nucleare
La Sicilia
26 maggio 1989
14 anni fa la Sicilia rischiò un disastro nucleare
Washington -
14 anni fa nello Jonio fu sfiorato il disastro nucleare. Rischiarono di esplodere, dopo una collisione con la portaerei “Kennedy”, i missili armati con testate atomiche a bordo dell'incrociatore “Belknap”. Al momento dell'incidente, il 22 novembre 1975, le unità statunitensi erano a poca distanza dalle coste italiane 80 chilometri a sud della Calabria e poco più di 100 dalla Sicilia.
A rendere noto l'episodio sono due ricercatori americani, William Arkin, esperto militare dell’“Institute per Policy Studies”, e Toshua Wandler, di Greenpeace.
Il loro rapporto indica che l'incendio sulle “Belknap” arrivò a 12 metri dai missili, tanto che dalla “Kennedy” l'ammiraglio Eugene Carroll fu costretto a emettere l'allarme “broken arrow” (“freccia spezzata”, il livello più alto di allerta per incidente del genere), segnalando a Washington “un'alta probabilità” che le testate nucleari del “Belknap” potessero prendere fuoco ed esplodere.
"La marina americana però - ha detto Nandler - ha tenuto nascosta la presenza di armi nucleari sulla nave, negando addirittura che in quell'occasione sia stato emesso un allarme “broker arrow”.
Le due navi americane entrarono in collisione di notte durante un'esercitazione aeronavale. La parte aggettante del ponte di decollo della “Kennedy” colpì il “Belknap” mentre il carburante dei jet della portaerei prendeva fuoco innescando esplosioni a catena a bordo dell'incrociatore.
Secondo gli esperti americani, l'incendio arrivò a lambire il deposito della nave dov'erano custoditi 60 missili, alcune dei quali del tipo “terrier” equipaggiati con testate nucleari. Tre ore e mezzo dopo le fiamme erano domate, ma l'incrociatore era semidistrutto e otto marinai avevano perso la vita. Dalla “Kennedy” l'ammiraglio Carroll, allora comandante della task force 60 della marina Usa, aveva intanto dato l'allarme al comando militare nazionale presso il Pentagono indicando alta probabilità che armi nucleari sul “Belknap” siano coinvolte nell'incendio seguito alla collisione. Nessuna diretta comunicazione con il “Belknap” al momento, nessuna prova che le esplosioni siano direttamente collegate alle armi nucleari. Le vittime finora recuperate non mostrano esposizione alle radiazioni".
Sei anni dopo l'incidente il dipartimento della difesa pubblicò una lista di 32 incidenti militari che avevano coinvolto armi nucleari tra il 1950 e il 1980, senza menzionare quello del “Belknap”.
“Il dipartimento della difesa mente per nascondere la presenza di armi nucleari sulle navi che frequentano porti stranieri”, accusa William Arkin. Il Pentagono da parte sua, rifiuta di commentare il rapporto, citando la politica americana di non confermare né smentire la presenza di armi atomiche su unità militari."Nell'incidente non furono danneggiate armi nucleari", ha dichiarato un portavoce della marina.
Raggiunto in California dopo dove vive dopo essere andato in pensione, l'ammiraglio Carroll ha però confermato di avere emesso l'allarme “broken arrow”. Era terribile - ha aggiunto - sembrava che la nave potesse affondare. Per quanto potevo vedere dalla “Kennedy” c'era la possibilità che le testate fossero raggiunte dalle fiamme ".
Dopo la collisione, l'incrociatore, ridotto ormai a un relitto fu rimorchiato nel porto di Augusta dove, secondo i due esperti, i missili vennero trasferiti su un'altra unità statunitense. Per decontaminare il “Belknap” ci volle un mese, poi il relitto fu trainato attraverso l'Atlantico fino a Filadelfia dove rimase in cantiere per quattro anni. L'ammiraglio di divisione che comandava la squadra di cui le due unità facevano parte, Eugene Carroll, ha confermato l'incidente e ne ha segnalati altri due. Nel primo le fiamme avevano lambito un aereo sul quale si trovava un ordigno nucleare, mentre nell'altro una bomba era rimasta schiacciata in un apparecchio utilizzato per imbarcare le armi sulle navi. Carroll ha comunque aggiunto che in nessuno dei tre casi si è corso il rischio di un'esplosione, anche se potrebbe essersi verificata una perdita di radiazioni nucleari. Della collisione fra l'incrociatore e la portaerei “Kennedy” nello Jonio era stata data notizia, ma il Pentagono non aveva mai rivelato che a bordo della prima unità vi fossero armi atomiche.
Alessandra Baldovini
La Sicilia
26 maggio 1989
14 anni fa la Sicilia rischiò un disastro nucleare
Washington -
14 anni fa nello Jonio fu sfiorato il disastro nucleare. Rischiarono di esplodere, dopo una collisione con la portaerei “Kennedy”, i missili armati con testate atomiche a bordo dell'incrociatore “Belknap”. Al momento dell'incidente, il 22 novembre 1975, le unità statunitensi erano a poca distanza dalle coste italiane 80 chilometri a sud della Calabria e poco più di 100 dalla Sicilia.
A rendere noto l'episodio sono due ricercatori americani, William Arkin, esperto militare dell’“Institute per Policy Studies”, e Toshua Wandler, di Greenpeace.
Il loro rapporto indica che l'incendio sulle “Belknap” arrivò a 12 metri dai missili, tanto che dalla “Kennedy” l'ammiraglio Eugene Carroll fu costretto a emettere l'allarme “broken arrow” (“freccia spezzata”, il livello più alto di allerta per incidente del genere), segnalando a Washington “un'alta probabilità” che le testate nucleari del “Belknap” potessero prendere fuoco ed esplodere.
"La marina americana però - ha detto Nandler - ha tenuto nascosta la presenza di armi nucleari sulla nave, negando addirittura che in quell'occasione sia stato emesso un allarme “broker arrow”.
Le due navi americane entrarono in collisione di notte durante un'esercitazione aeronavale. La parte aggettante del ponte di decollo della “Kennedy” colpì il “Belknap” mentre il carburante dei jet della portaerei prendeva fuoco innescando esplosioni a catena a bordo dell'incrociatore.
Secondo gli esperti americani, l'incendio arrivò a lambire il deposito della nave dov'erano custoditi 60 missili, alcune dei quali del tipo “terrier” equipaggiati con testate nucleari. Tre ore e mezzo dopo le fiamme erano domate, ma l'incrociatore era semidistrutto e otto marinai avevano perso la vita. Dalla “Kennedy” l'ammiraglio Carroll, allora comandante della task force 60 della marina Usa, aveva intanto dato l'allarme al comando militare nazionale presso il Pentagono indicando alta probabilità che armi nucleari sul “Belknap” siano coinvolte nell'incendio seguito alla collisione. Nessuna diretta comunicazione con il “Belknap” al momento, nessuna prova che le esplosioni siano direttamente collegate alle armi nucleari. Le vittime finora recuperate non mostrano esposizione alle radiazioni".
Sei anni dopo l'incidente il dipartimento della difesa pubblicò una lista di 32 incidenti militari che avevano coinvolto armi nucleari tra il 1950 e il 1980, senza menzionare quello del “Belknap”.
“Il dipartimento della difesa mente per nascondere la presenza di armi nucleari sulle navi che frequentano porti stranieri”, accusa William Arkin. Il Pentagono da parte sua, rifiuta di commentare il rapporto, citando la politica americana di non confermare né smentire la presenza di armi atomiche su unità militari."Nell'incidente non furono danneggiate armi nucleari", ha dichiarato un portavoce della marina.
Raggiunto in California dopo dove vive dopo essere andato in pensione, l'ammiraglio Carroll ha però confermato di avere emesso l'allarme “broken arrow”. Era terribile - ha aggiunto - sembrava che la nave potesse affondare. Per quanto potevo vedere dalla “Kennedy” c'era la possibilità che le testate fossero raggiunte dalle fiamme ".
Dopo la collisione, l'incrociatore, ridotto ormai a un relitto fu rimorchiato nel porto di Augusta dove, secondo i due esperti, i missili vennero trasferiti su un'altra unità statunitense. Per decontaminare il “Belknap” ci volle un mese, poi il relitto fu trainato attraverso l'Atlantico fino a Filadelfia dove rimase in cantiere per quattro anni. L'ammiraglio di divisione che comandava la squadra di cui le due unità facevano parte, Eugene Carroll, ha confermato l'incidente e ne ha segnalati altri due. Nel primo le fiamme avevano lambito un aereo sul quale si trovava un ordigno nucleare, mentre nell'altro una bomba era rimasta schiacciata in un apparecchio utilizzato per imbarcare le armi sulle navi. Carroll ha comunque aggiunto che in nessuno dei tre casi si è corso il rischio di un'esplosione, anche se potrebbe essersi verificata una perdita di radiazioni nucleari. Della collisione fra l'incrociatore e la portaerei “Kennedy” nello Jonio era stata data notizia, ma il Pentagono non aveva mai rivelato che a bordo della prima unità vi fossero armi atomiche.
Alessandra Baldovini
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