lunedì 10 agosto 2009

VI RACCONTO IL "TERREMOTO DIMENTICATO"







































Vi racconto a modo mio il “terremoto dimenticato”
http://www.terremotodeisilenzi.it/

(versione provvisoria aggiornata al 1° ottobre 2009 ore 09,30)

Si consiglia ai lettori di questa pagina
di dare un’occhiata alle immagini dei seguenti link
e scorrere la galleria fotografica

http://picasaweb.google.com/augustanodoc/TerremotoDeiSilenzi#5329644387480624610

http://picasaweb.google.com/augustanodoc/TerremotoDeiSilenzi#


Buon giorno.
Mi chiamo Palmiro Prisutto e voglio raccontarvi una vicenda tutta italiana che può sembrare incredibile.
Sono nato ad Augusta in provincia di Siracusa nel 1954.
Attualmente vivo a Brucoli, una frazione di Augusta, dove svolgo un lavoro particolare: faccio il parroco.
Sono anche docente di religione presso un istituto tecnico della città di Augusta.
Ma sono anche un comune cittadino che, al di fuori di ogni appartenenza politica o partitica, dal 1985 si interessa delle vicende della città di Augusta e dei suoi problemi.
La città di Augusta è ormai nota a livello mondiale per alcune problematiche che la riguardano nella questione ambientale e nella questione dei rischi.
Augusta possiede uno dei più grandi porti del Mediterraneo, e qui alla fine del 1800 lo stato italiano impiantò una base della marina militare. In quel tempo l’Italia si era imbarcata, come tanti paesi europei, nell’avventura della colonizzazione dell’Africa.
Il porto di Augusta già nel 1571 aveva ospitato alla partenza la flotta cristiana che nella battaglia di Lepanto sconfisse la flotta turca arrestando l’avanzata islamica in Europa. Nel 1908 dal porto di Augusta partirono le navi russe che per prime recarono aiuto alla città di Messina distrutta dal terremoto.
Il porto di Augusta, alla fine del 1800, era quello più idoneo e più sicuro da dove far partire per la “conquista” dell’Africa uomini e mezzi.
Purtroppo la guerra fa diventare bersagli quei luoghi strategicamente importanti: Augusta lo ha sperimentato in modo particolare durante la seconda guerra mondiale.
Numerosi i bombardamenti subiti e molte le vittime. Il rischio militare è solo uno dei rischi con cui Augusta convive.
Dopo la fine della seconda guerra mondiale il porto di Augusta venne scelto da alcuni imprenditori italiani, fra cui il petroliere Angelo Moratti, per farvi sorgere i primi insediamenti chimici e petrolchimici che successivamente faranno diventare l’area circostante il porto di Augusta come il polo petrolchimico più grande e più esteso d’Europa. “Porteranno il pane” agli abitanti di una zona depressa del sud, ma è “pane avvelenato”. Chi lo sapeva, però, taceva.
Per circa quarant’anni il porto di Augusta è stata la sola discarica di tutti i reflui liquidi della zona industriale: oggi è certo che sui fondali del porto di Augusta sono sedimentati 18 milioni di metri cubi di fanghi tossici: tre metri cubi per ogni abitante della Sicilia!
E’ una bomba ecologica che da decenni sta facendo una “strage silenziosa” e lo farà anche in futuro. Discariche abusive o nascoste, smaltimento illegale di rifiuti, ininterrotte emissioni di fumi tossici, forsennato emungimento della falda hanno distrutto tutto l’ecosistema. Il 30 novembre 1990, dopo oltre un decennio di ritardi politici, Augusta venne dichiarata dal Ministero per l’ambiente “area ad alto rischio di crisi ambientale”.
Più che ad alto rischio di crisi la si può considerare “area in piena crisi ambientale”. Per tutto ciò Augusta è la città che vede morire di cancro uno su tre dei suoi abitanti;
è la città che vede nascere ogni anno un numero impressionante di bambini malformati a causa dell’inquinamento; addirittura vengono ritenuti “fortunati” quelli che non vengono fatti nascere, e quelli che, purtroppo, hanno questa “fortuna” nel reparto ostetricia dell’ospedale di Augusta sono diventati ormai la maggioranza.
Augusta è la città in cui negli anni gli incidenti industriali e sul lavoro e le condizioni ambientali hanno provocato un numero di vittime molto più alto di quello di un grave attentato terroristico. Queste vittime, però, non hanno mai avuto un riconoscimento ufficiale.
http://www.lasvolta.net/tds/index1.htm

E benché questa situazione sia nota da almeno quarant’anni, lo stato italiano, di fatto, ha deciso di non intervenire, anzi si è reso complice consapevole, di una strage che dura ormai da oltre cinquanta anni, nonostante che un piccolo gruppo di cittadini irriducibili e mai rassegnatisi al fatalismo conduca da anni una battaglia che sembra perduta già in partenza.
Ben tre sono almeno i rischi con cui gli abitanti di Augusta devono convivere: il rischio sismico, il rischio militare e il rischio industriale.

Questo territorio (AUGUSTA-PRIOLO-MELILLI), tristemente battezzato come il “triangolo della morte”, ha anche un altro record: è il territorio italiano in cui si è avuto (nel 1693) il più grave terremoto che ha colpito l’Europa in “epoca storica”.
E questo, nella storia della sismologia lo sanno tutti, così come lo sapevano - sia la comunità scientifica sia le istituzioni - nella notte del 13 dicembre 1990 all’una e ventiquattro.
Un terremoto ad Augusta non è un semplice terremoto: è qualcosa di più terribile: basterebbe rileggere le cronache scritte nel 1693 dai sopravvissuti e dai contemporanei: oltre la distruzione totale delle case, ci fu un’onda di maremoto alta 15 metri e l’esplosione della polveriera del castello fece un’ulteriore strage tra i sopravvissuti al terremoto.
I sismologi sanno bene che un terremoto come quello del 1693 in quest’area non solo è sempre possibile, ma è addirittura annunciato, ma oggi lo scenario sarebbe diverso:
Augusta non è più il piccolo centro abitato del 1693: i suoi abitanti oggi sono decine di migliaia;
nel porto di Augusta non ci sono più gli innocui velieri di legno di un tempo: oggi si sono decine di navi cariche di petrolio, di gas, di prodotti chimici; ci sono le navi militari italiane e straniere (anche a propulsione nucleare e con armamento atomico oltre che convenzionale;
attorno o a ridosso del porto di Augusta ci sono raffinerie, stabilimenti chimici e petrolchimici, centrali elettriche, una miriade di altre attività produttive legate al settore chimico, ci sono basi militari, ci sono centri abitati.
Quali potrebbero essere oggi le conseguenze di un terremoto di elevata magnitudo (come quello del 1693) seguito da una analoga onda di maremoto di 15 metri? Certamente al disastro naturale del terremoto si aggiungerebbero altri disastri addebitabili solo alla “folle competenza umana” che su questo territorio ha concentrato – e continua a farlo - tutti i rischi possibili e immaginabili.
Ecco cosa accadde nel 1693: la notte del 9 gennaio ci fu una prima forte scossa di terremoto (oggi sarebbe valutata come IX grado mercalli); poi la terra si “acquietò” dando l’illusione che tutto fosse finito. La gente - era pieno inverno - dopo il secondo giorno cominciò a rientrare stremata dentro le case martoriate, dopo aver seppellito qualche decina di morti. Ma nel pomeriggio dell’ 11 gennaio 1693 avvenne il cataclisma. XI grado Mercalli, 7.6 di magnitudo Richter. Il sisma lo avvertì tutto il Mediterraneo centrale e in particolare la Sicilia sud orientale con il tragico bilancio di circa 60.000 - 100.000 vittime. Lo chiamarono il “terremoto del Val di Noto”, perché in quel periodo la Sicilia era divisa in tre distretti amministrativi: (Val di Noto, Val di Mazara, Val Dèmone).
Questo terremoto catastrofico non è stato mai dimenticato dalle generazioni successive e costituisce anche una delle date più ricordate nella Sicilia Orientale.
Era la notte del 13 dicembre 1990: esattamente era l’una e ventiquattro minuti. Un boato e poi la terra inizia a tremare. È stato calcolato che almeno due milioni di persone quella notte sono uscite di casa terrorizzate o almeno seriamente “preoccupate” in tutta la regione Sicilia. (L’unica provincia che non ha sentito quel terremoto è stata quella di Trapani).
L’area colpita è la stessa del 1693.
È la stessa del 1848; è la stessa del 1542 e del 1169.
Sono tutti terremoti stimati tra il IX e il XI grado della scala mercalli.
Dopo la scossa dell’una e ventiquattro la terra non trema più: neanche una piccola scossa di assestamento.
Immaginiamo di trovarci a Roma, all’Istituto di nazionale geofisica.
Dopo pochi minuti, fatti i debiti rilevamenti strumentali, ne viene calcolata l’intensità e l’epicentro: e qualcuno pensa subito al 1693.
https://ydagca.bay.livefilestore.com/y1px9qoxDByRBCx5siqCHN4dA07RjHhhMvHaPJelsL4Z9Ymo-tDuELyafZYVvGh73gy_1c6H6_8xRpHEm6BN8z1W5QeKaXASv88/rischio%20terremoto.jpg

E la preoccupazione aumenta perché anche questa volta la terra non si muove più e non si muoverà per tutto il 13, il 14, il 15 e buona parte del 16 dicembre 1990.
“Vuoi vedere che si sta ripetendo il 1693?”. A dire questo è la comunità scientifica.
Nella sala operativa della protezione civile di Roma si guardano in faccia, si chiamano gli esperti e si informa il governo: le coordinate dell’epicentro non lasciano dubbi: ci troviamo in una delle aree più sismiche d’Europa. Una zona anche a rischio di maremoto o tsunami, una zona dove esiste il più grande polo petrolchimico d’Europa.
http://picasaweb.google.com/augustanodoc/TerremotoDeiSilenzi#5329638926542947330
Mentre a Roma, ministro per la protezione civile in testa, cominciano ad organizzarsi per l’emergenza, ”temendo il peggio”,
http://picasaweb.google.com/augustanodoc/TerremotoDeiSilenzi#5329639809847838722
si stabilisce anche come dare l’informazione e soprattutto si stabilisce quali informazioni dare.
La macchina della protezione civile che in pompa magna, qualche settimana prima del sisma, aveva fatto le prove generali (SOLIDARIETA’ 90) viene fermata. https://ydagca.bay.livefilestore.com/y1pDq5myAEnjEcIKQxdNDJvKHz7rTAxQlAltsqCOdpKioL3NAGw-n-xEEii5L0B9zqOpU30YuqzfjKc5xbfB-2VShzwq1_VcD-s/cronacadi%20un%20sisma%20mai%20avvenuto.JPG
Alla comunità scientifica viene addirittura intimato l’alt.
Non è prudente mandare i soccorsi: “se arriva la seconda scossa qui moriranno anche i soccorritori”. I soccorsi con le stellette, infatti, arriveranno solo dopo la seconda scossa. (E ad Augusta di possibili soccorritori con le stellette ce n’erano già almeno duemila: il contingente locale della Marina Militare).
“Fermi tutti! Nessuno si muova: aspettiamo la seconda scossa”, si stabilisce a Roma.
A Roma si fa il punto della situazione:
governo e comunità scientifica discutono: i giornalisti premono; vogliono sapere notizie, perché già fuori dell’Italia la notizia circola.
“Se diciamo che ci sarà una seconda scossa creeremo il panico!”
“Ma se non lo diciamo ci saranno migliaia di morti!”
“Ma nella zona del sisma c’è il polo petrolchimico ed è una zona a rischio maremoto”

http://picasaweb.google.com/augustanodoc/TerremotoDeiSilenzi#5329638939242060690

“Beh, allora creiamo un po’ di confusione: diremo che:
il terremoto ha avuto l’epicentro in un'altra zona (parleremo genericamente di Val di Noto, vicino Siracusa, al largo di Catania, oppure, ancora meglio a Carlentini dove ci sono stati dei crolli e alcuni morti);
riduciamo l’entità ufficiale della scossa altrimenti “si dovrà chiudere” il polo petrolchimico;
non diciamo alla popolazione che è molto probabile una seconda scossa più forte della prima… e semmai la notizia dovesse trapelare la smentiremo anche con i tg nazionali.
Non facciamo grandi servizi ai telegiornali, nessuna edizione straordinaria, diamo il tempo minimo indispensabile per sapere solo la notizia che c’è stato il terremoto, ma soprattutto non dire e non far sapere che l’epicentro del terremoto si trova ad Augusta ….. altrimenti …..”
http://picasaweb.google.com/augustanodoc/TerremotoDeiSilenzi#5329638989876226866

“Anche il Presidente del Consiglio ed il Ministro della protezione civile saranno d’accordo …”.
Se tutto questo fosse accaduto in questi giorni, senza il ricordo del 1693, avremmo visto Berlusconi e tutto il codazzo dei politici venire qui… Invece, nel 1990, non solo non venne nessuno (tranne il ministro della protezione civile per poche ore) e durante i funerali delle vittime le autorità dello stato furono assenti: infatti la seconda scossa non era ancora avvenuta. …..
10 agosto 2009
Sac. Palmiro Prisutto
(Continua)

Oggi, e anche prima del 1990, sappiamo cosa fare in caso di terremoto:
ripararsi in casa in posti sicuri, aspettare la fine della scossa;
dopo la scossa uscire di casa portando una radio, una lampada tascabile, qualche capo di abbigliamento, qualche coperta e stare in luoghi aperti. Oggi porteremmo appresso soprattutto i telefonini.
E, una volta fuori, se sopravvissuti, avremmo dovuto ricevere “informazioni” dalla Protezione civile.
Dall’una e ventiquattro fino al primo giornale radio del mattino invece non ci venne data nessuna informazione. Supplirono a questa carenza, tra un black-out e l’altro le televisioni locali: con i loro inviati e i loro servizi, pur con tutto il caos che c’era, si capì che il sisma aveva colpito duramente ancora una volta la Sicilia sud orientale: le prime notizie che vennero fornite alla stampa furono, però, falsate: basti guardare le cartine degli epicentri dei vari quotidiani anche locali: l’epicentro era veramente ballerino; ogni giornale metteva il suo, ma una caratteristica era costante: non c’era alcun riferimento ad Augusta, dove – per alcuni giorni – cinquemila senzatetto, un terzo di tutti quelli della vasta area interessata dl sisma, “non facevano notizia”. Non è che nel caos delle prime ore eravamo stati “dimenticati” eravamo stati semplicemente “tenuti nascosti”.
Molto più comodo, per distogliere l’attenzione dal petrolchimico, far vedere le macerie di Carlentini, delle tre palazzine crollate, dei vigili del fuoco che scavavano tra le macerie;
molto più comodo far vedere il tragico scenario di Carlentini che far vedere i casermoni delle nuove case popolari e delle appena appena costruite cooperative di Augusta ridotte come dopo un bombardamento.
Un quotidiano nazionale, nei giorni seguenti, forse per trattare il sud secondo gli stereotipi di una certa informazione, scrisse: Erano case di cartone.
No, erano case di cemento armato, forse in qualche caso scadente, ma pur sempre cemento armato. Avevano resistito alla immane violenza del sisma, erano state ferite, anche in modo grave, ma avevano resistito: se fosse crollata una sola o solo due di queste costruzioni i morti sarebbero stati centinaia sotto ognuna di esse.
Si sa che nel terremoto, per essere tale, ci vogliono morti, feriti, macerie: ad Augusta non ci furono morti, ma solo qualche decina di feriti, nessun crollo ma centinaia e centinaia di case totalmente inagibili. Di tanti palazzi si vedevano solo i pilastri e l’arredamento interno: le pareti erano crollate mettendo a nudo l’intimità della casa.
La parte più colpita della città era stata la parte più nuova, pur costruita con i criteri antisismici.
Il terremoto è sempre terremoto: la sua forza è inimmaginabile e non sempre dominabile. Anche nella costruzione più perfetta talvolta non tutto viene tenuto in considerazione. Una costruzione può mai essere antisismica al 100%? Le regole valgono solo per l’edilizia privata o anche per quella pubblica? Oppure valgono anche per una particolare tipologia di costruzione?
Chiediamoci, per esempio, a proposito del polo petrolchimico di Augusta: è stato costruito con criteri antisismici?
Ma com’è stato possibile far nascere un polo petrolchimico così esteso su un’area sismica di primo grado? Tutti oggi direbbero NO, ma intanto l’hanno costruito e, perfino, ingrandito;
è stato tenuto presente che cosa potrebbe fare un’onda di maremoto ad un polo petrolchimico con i suoi pontili, serbatoi, ecc, che si trova in riva al mare? Probabilmente nessuno ci ha pensato, ma il 13 dicembre 1990 sono stati tanti a dire: “Anche stavolta è andata bene”.
Assurdamente il piano di protezione civile di Augusta aveva previsto che l’evacuazione degli abitanti di Augusta sarebbe stata possibile anche via mare: erano previste – ma non sono state mai realizzate - banchine per gli imbarchi: anche in questo caso il redattore del piano aveva dimenticato che sono stati ben cinque i maremoti sicuri nella storia di Augusta.
Chi non ricorda le immagini della distruzione provocate dallo tsunami del 26 dicembre 2004? (e quello del 29 settembre 2009 delle Isole Samoa?)
Ricordando anche quanto accaduto nella tranquilla Viareggio lo scorso 29 giugno 2009, cosa potrebbe accadere nell’area portuale di Augusta?, la Erg e la Shell, - le società che vogliono realizzare contro la volontà popolare un rigassificatore nel porto di Augusta - nella loro cecità mentale causata dalla cultura del profitto, ci potrebbero rispondere: “Nulla”.
Ecco perché sono impegnati ad ogni costo a realizzare nell’area portuale di Augusta un rigassificatore che alla Sicilia non serve. Un rischio in più, ma che, in caso di incidente, coinvolgerebbe, per strana coincidenza, la stessa area colpita dal terremoto del 1990. Non posso dimenticare quella frase del 1693 che qui vi riporto:
“Da sempre gli uomini e gli elementi avean congiurato di travagliare la sempre desolata Augusta, e funestissimo più d’ogni altro fu l’anno 1693 ….”
Prima gli uomini (politici e amministratori) e poi gli elementi (=le catastrofi naturali). Le catastrofi naturali non si possono evitare, ma se le conseguenze di esse sono aggravate dall’insipienza umana… …. Gli uomini. Tante tragedie hanno la loro radice proprio nelle assurde decisioni degli uomini.
Due delle cose poco note del terremoto del 1990 hanno a che fare col mare:
la prima:
in seguito al sisma la costa di Augusta è stata investita da un’onda “anomala” dell’altezza di circa un metro e mezzo… E se fosse stata di tre o cinque metri? In questo caso il quartiere Borgata, già devastato dal sisma sarebbe stato invaso dall’acqua rendendo inutile ogni tentativo di fuga dalla città; gli ampi spazi di questo quartiere che ospitò le auto dove per alcune notti dormirono gli scampati al terremoto sarebbero stati lo scenario di un’altra tragedia.
La seconda:
lo sprofondamento di circa un metro della zolla su cui sorge la città di Augusta. La scogliera di levante e la costa di ponente non sono più quelle di prima del terremoto. Le foto in mio possesso scattate prima e dopo il sisma del 1990 ne sono una prova.
In termini poveri significa che se dovesse ripetersi un sisma uguale a quello del 1990 tutto il quartiere Borgata, dal Granatello e dal lungomare Rossini sino ai quartieri della zona Fontana sarebbero anche a rischio inondazione, sperando sempre che non si ripeta il 1693. Contro un’onda di “trenta cubiti”, cioè quindici metri ci sarà ben poco da fare.
13 agosto 2009
Sac. Prisutto Palmiro

(Continua)

Ecco una delle grandi paure della commissione Grandi Rischi della Protezione Civile nella notte del “terremoto di S. Lucia”: al terremoto poteva succedere il maremoto. Si poteva dare questa notizia alle popolazioni della Sicilia orientale già in preda al panico dopo la scossa dell’una e 24? Si poteva dir loro che nel caso di una seconda scossa sarebbe potuto accadere anche questo? Si potevano mandare i soccorsi? Ma quante sono oggi le città che sorgono sul mare lungo la costa orientale della Sicilia?

Ecco alcuni racconti dei nostri bisnonni sull’ultimo maremoto che ha colpito il territorio di Augusta.
Era il 28 dicembre 1908: il terremoto di Messina e susseguente maremoto. Il maremoto non interessò solo l’area dello Stretto, ma tutta la Sicilia orientale. A Brucoli, la città dove attualmente risiedo, l’onda proveniente dallo Stretto è arrivata con un’altezza di circa sei metri. L’acqua ha invaso e superato le ripide balze del porto canale di Brucoli distruggendo barche e pescherecci, ha inondato le strade dell’abitato, ha toccato perfino i gradini della chiesa. Eppure l’epicentro del terremoto si trovava ad “appena” 150 chilometri di distanza.
Ad Augusta un altro racconto: dapprima il livello del mare si è abbassato lasciando in secca centinaia di metri di fondale, poi l’onda si è alzata penetrando nella terraferma nella zona oggi denominata “Fontana” dove non c’erano abitazioni ma solo saline: durante il suo avanzare l’onda ha incontrato l’argine delle saline su cui era collocata la ferrovia. http://picasaweb.google.com/augustanodoc/TerremotoDeiSilenzi#5329638340614211554
Dopo il ritiro dell’acqua l’argine era stato “inghiottito” e della ferrovia erano rimasti solo i binari e le traversine che penzolavano. Nella zona urbanizzata oggi chiamata “Paradiso o Terravecchia” allora, per fortuna, non c’erano case.
In questi giorni, navigando in questo sito, dall’Argentina l’anziano figlio di una emigrata augustana, ricordando il 1908, mi ha scritto: “Mia madre quando ero piccolo mi raccontava: doppu u tirrimotu si nni vinni u mari”.
Di sicuro, in questi anni, chi ha dato pareri favorevoli ai nuovi insediamenti industriali (=RIGASSIFICATORE) non ha tenuto conto di questo fattore.

Ma proviamo a immaginare anche che cosa potrebbe succedere ad Augusta oggi in caso di terremoto in cui venisse coinvolta anche la zona industriale: forse qualcuno ha già dimenticato due analoghi precedenti avvenuti dopo il 1990: Turchia (Izmit agosto 1999) e Giappone (Hokkaido settembre 2003).
link
Lì il terremoto ha colpito zone in cui esistevano delle raffinerie: in seguito al sisma si sono sviluppati degli incendi: al disastro del terremoto si è unito il disastro ambientale.
Il terremoto potrebbe far collassare le strutture del petrolchimico magari innescando incendi ed esplosioni ad “effetto domino” o sprigionando una nube tossica. Chi non ricorda le cinque esplosioni dell’ICAM del 19 maggio 1985 quando il cielo si illuminò a giorno alle 23,25?
http://terremotodeisilenzi.blogspot.com/2009/05/19-maggio-1985-la-notte-dellicam.html
http://www.lasvolta.net/augusta_icam85.htm

In caso di nube tossica si raccomanda di chiudersi in casa, sigillare porte e finestre …. Ma dopo un terremoto, in caso di nube tossica ad Augusta si potrebbe rimanere in casa? Idrogeno, cloro, ammoniaca, gpl, sono soltanto alcune delle sostanze pericolose lavorate o presenti nell’area industriale Augusta-Priolo-Melilli.
Il terremoto del 1693 fu causa indiretta di un’altra strage: l’esplosione della polveriera del castello ne uccise altri 800 che pur erano sopravvissuti al terremoto. Oggi la polveriera potrebbe identificarsi col polo industriale. Ma il 13 dicembre 1990 si poteva dire alla popolazione sfuggita al terremoto: potrebbe saltare in aria da un momento all’altro la zona industriale? A Roma lo sapevano, ma ad Augusta la notizia “non si doveva sapere”.

Eppure la notizia riuscì a “trapelare” oppure fu fatta trapelare da qualcuno che aveva un po’ di coscienza. Il 15 dicembre 1990 nella tarda mattina ad Augusta cominciarono a passare le auto della polizia di stato e dei vigili urbani a tentare di tranquillizzare con gli altoparlanti la popolazione: “hanno messo in giro la voce che ci sarà una seconda scossa; non credete a questi sciacalli”.
In questa circostanza il vero sciacallo fu lo stato.
Zamberletti, uno dei ministri per la protezione civile prima del 1990, più di una volta aveva detto che se fosse avvenuto un terremoto di una certa intensità nel nostro territorio avrebbe fatto decine di migliaia di vittime. Anche un altro scienziato, Franco Barberi, altro celebre sismologo) aveva detto la stessa cosa. E dopo il terremoto ci considerò “fortunati”.
Si era sparsa anche la voce che migliaia di bare erano state fatte affluire: chi diceva a Reggio Calabria, chi a Palermo, chi a Sigonella. Era vero?
Forse dalla sede nazionale della protezione civile qualcuno non se la sentì di tacere sulla scossa in arrivo e mise in allarme qualche conoscente della zona.
L’allarme si era così diffuso che dovette intervenire perfino il Tg1 nazionale delle ore 13,30 a smentire l’arrivo della paventata replica. Secondo il piano di protezione civile ad Augusta avrebbero dovuto essere già stati installati gli altoparlanti di grande portata…, quelli con cui avrebbero dovuto avvisare la popolazione in caso di incidente. Nei notiziari nazionali intanto il nome della città di Augusta era appena appena sussurrato, ma solo dopo due giorni quando non era più possibile nasconderlo.
Ma la seconda scossa ci fu?
Sì, alle 14,50 di domenica 16 dicembre 1990. Fu più leggera e più breve di quella temuta. Ma solo dopo quella scossa ministri e scienziati tirarono un “sospiro di sollievo”. E la popolazione? Beh, quella poteva essere sacrificata per “ragion di stato” e soprattutto perché all’Italia erano più utili le raffinerie e, soprattutto, le accise sulla benzina. D’altronde, tutt’ora, gli abitanti di Augusta – Priolo – Melilli sono considerati solo “mano d’opera” e “carne da macello”. Per quel tozzo di pane avvelenato tacciono, subiscono il ricatto occupazionale, non protestano neanche per chiedere la monetizzazione del rischio. A “nome loro” (o per il loro tornaconto) politici e sindacati chiedono altre “fabbriche di morte” in aggiunta a quelle che già ci sono.

http://www.terremotodeisilenzi.it/index.php?option=com_content&view=article&id=48&Itemid=55


18 agosto 2009
Sac. Prisutto Palmiro

(Continua)

Non è difficile capire perchè sul terremoto di Augusta fu stesa subito una cappa di silenzio: quella del silenzio di stato.
Ad Augusta e agli Augustani in particolare, questo strano silenzio su di essa, questo epicentro ballerino, questa assenza dello stato furono subito notati.
Lo stato, però, che a quell’epoca era nelle mani di un tale Giulio Andreotti, si rese presente alcuni giorni dopo il terremoto con un suo delegato dal nome strano: Alvaro Gomez y Paloma, un nome che ci rinviava all’epoca dei Conquistadores. Suo compito era quello di tutelare primariamente gli interessi economici dello stato, poi quello di gestire l’emergenza nella maniera meno traumatica possibile. I terremotati erano siciliani non italiani: erano cittadini di serie B anche di fronte alla calamità; la Sicilia era una “colonia” non una regione dell’Italia.
Caso unico nella storia repubblicana, a seguito di questo terremoto, non venne mai dichiarato lo stato di calamità naturale nella zona devastata dal terremoto che, nel frattempo, si era estesa anche alle due province confinanti: Ragusa e Catania.
Come succede spesso, dopo la sciagura spuntano sciacalli ed avvoltoi, c’è chi perde tutto e c’è chi si arricchisce. Noi abbiamo avuto il terremoto e gli altri hanno avuto i soldi, anche perché la provincia di Siracusa non ha mai avuto politici veramente degni di tale nome.
http://picasaweb.google.com/augustanodoc/TerremotoDeiSilenzi#5329638067867173282

La gente si aspettava solidarietà e voleva sapere tante cose sul terremoto e sul dopo terremoto. La ragion di stato prevalse con il “silenzio di stato” sul terremoto. Riporto due testimonianze:
Il Gen. dell’esercito Monsutti, in una intervista di quei giorni al tg3 dichiarava:
…. Il terremoto del Friuli è stato un terremoto molto più intenso e purtroppo è stato un terremoto che ha colpito molto profondamente e se n’è vista subito la gravità.
In questo terremoto invece è sembrato, almeno inizialmente, dalle informazioni che pervenivano lungo la catena responsabile, sembrava un terremoto di piccola entità.
Ci sono stati purtroppo dei morti, ma non è stato un terremoto che potesse, diciamo così, scuotere o suscitare degli interventi massicci...
D.
Quindi c’è stata una sottovalutazione da parte dei responsabili della protezione civile?
R.
Ma non direi neanche questo.
Tutti i responsabili si sono resi conto gradualmente a mano a mano che l’informazione poteva espandersi, e si poteva conoscere quali erano i danni, soprattutto i danni e le lesioni alle abitazioni e ai fabbricati che determinate abitazioni e determinati fabbricati dovevano essere sgomberati e la popolazione doveva essere sistemata diversamente
in tende, in roulottes oppure in prefabbricati com’ è che si sta facendo

D.
Quanti prefabbricati state montando?
R.
Sono… stiamo montando 50 prefabbricati. Sono tutti arrivati. Dieci sono già pronti nell’area di Carlentini subito dopo il campo sportivo gli altri sono in corso di montaggio

Il sismologo Enzo Boschi:
Il governo ci invitò, come comunità scientifica, a non andare nella zona terremotata dopo l’evento perché la popolazione si sarebbe sicuramente allarmata…. Io ci andai lo stesso a livello personale.
Appena cominciarono ad arrivare in zona i primi rappresentanti della comunità scientifica, - perché di politici nazionali, all’inizio, non se ne vide neanche l’ombra – non perse occasione di chiedere notizie più precise e meno evasive su quanto accaduto la notte di S. Lucia:
a denti stretti, gli scienziati ammisero che l’informazione era stata “pilotata” per le preoccupazioni sopra dette.
Lo stesso Prof. Boschi, nell’assemblea del 6 gennaio 1991 ad Augusta, alla quale parteciparono circa seimila persone, disse che l’epicentro era stato vicino a ……… Siracusa: un “lapsus” subito corretto con … Augusta. Di questo abbiamo perfino le immagini registrate.
E così il terremoto del 1990 divenne “il terremoto di Carlentini”, il terremoto di Santa Lucia, il terremoto dimenticato, il terremoto fantasma, il terremotino*, il terremoto infinito, il terremoto scomparso, il terremoto censurato, ed anche … il terremoto dei silenzi. Nel mese di settembre 1991, addirittura, nell’aula di Montecitorio divenne il terremoto “inventato”. Un esponente probabilmente “nordista”, l’On. Forte, del vecchio PSI (partito socialista italiano) durante la discussione sulla legge finanziaria, parlò di terremoto inventato: non sapeva che in Sicilia c’era stato un terremoto! Fatto assai più grave che un certo On. Foti, democristiano siracusano, allora sottosegretario al ministero del tesoro, non intervenne neanche per difendere i diritti dei suoi conterranei e concittadini.
Oggi, lo abbiamo visto in occasione dei terremoti dell’Umbria, del Molise e dell’Abruzzo, se la tv e i grandi mezzi d’informazione accendono i riflettori sulla tragedia, insieme all’informazione si sviluppa la solidarietà. Ma spenti i riflettori si esaurisce anche l’ondata di solidarietà. In Sicilia, nel 1990, si prese la decisione di non accendere i riflettori e, perfino, di “oscurare” la verità e il risultato fu quello che la gara di solidarietà non ebbe mai inizio. Basterebbe anche rivedere i servizi al telegiornale e cronometrare i tempi della notizia: tempo massimo cinque minuti nei primi tre giorni.
Per altri terremoti e altre calamità, però, eravamo stati considerati come “italiani”; basti pensare che anche noi siciliani ancora paghiamo le accise sul prezzo della benzina, anche noi abbiamo pagato le una tantum per le altre calamità: per i terremotati siciliani del 1990 non ci fu nessuna partita del cuore e nessun concerto di solidarietà.
Per noi nulla di tutto questo, ma se qualcosa lo stato ci ha dato è stata solo l’elemosina

http://www.lasvolta.net/tds/index1.htm

per una ricostruzione parziale. E questo è stato possibile solo perché alla fine di ottobre 1991, dieci mesi dopo il sisma, i terremotati esasperati e disperati, riuscirono a farsi sentire bloccando ad oltranza il porto*

http://www.lasvolta.net/tds/index1.htm

di Augusta e a paralizzare la viabilità dell’intera provincia. Porto, strade e ferrovie andarono in tilt per la protesta. Ma con la protesta si interruppero pure i rifornimenti di carburante all’Italia e nelle casse dell’erario cominciarono a diminuire anche le entrate. Pochi sanno in Italia che dal porto di Augusta passa quasi la metà dei prodotti petroliferi italiani e che lo stato incassa, oggi, dal porto di Augusta circa 18 miliardi di euro, l’equivalente di una legge finanziaria media.
http://picasaweb.google.com/augustanodoc/TerremotoDeiSilenzi#5329639358975569650

Non erano bastate le proteste del 21 dicembre 1990,
http://picasaweb.google.com/augustanodoc/TerremotoDeiSilenzi#5329638023818313634
del gennaio 1991, del 31 marzo 1991, del 29 maggio 1991.
http://picasaweb.google.com/augustanodoc/TerremotoDeiSilenzi#5329638036622455746
Le istituzioni avevano seguito la “strategia del faraone con Mosè”: “fermate la protesta (=nel caso di Mosè le famose dieci piaghe d’Egitto) e avrete ciò che chiedete” e terminata la protesta il faraone si rimangiava la parola data.
Le giuste “barricate” dell’ottobre 1991 valsero a ottenere la legge e i fondi per la ricostruzione: un’elemosina. Quella stessa somma che lo stato italiano aveva promesso di elargire in sei anni per la ricostruzione, il porto di Augusta, per lo stato, la produceva in soli tre mesi! I fondi stanziati dallo stato per la ricostruzione sono paragonabili alla misera elemosina presa dai proventi di una rapina! Ma in questo caso il rapinatore è lo stato, ed il povero, paradossalmente è il rapinato stesso. Di questo lo stato italiano si deve vergognare.
Oggi, quasi vent’anni dopo il terremoto, ad Augusta, la ricostruzione non è ancora finita, e in qualche caso nemmeno iniziata, mentre altre calamità avvenute dopo il terremoto del 1990 hanno avuto quasi delle corsie preferenziali.
In quegli anni, nel mondo politico italiano, si era coniata una nuova espressione: la “par condicio”. E in Italia si continuava a cantare “Fratelli d’Italia”.
Questo spirito di fratellanza e questa “par condicio” non hanno trovato applicazione nella gestione del terremoto del 1990.

22 agosto 2009
Sac. Prisutto Palmiro
(continua)

Subito dopo un terremoto la vita cambia radicalmente, soprattutto se non c’è un aiuto esterno.
La gente è sotto shock; ha paura a rientrare nelle case, se queste non sono crollate. Prima andavi in bagno quando volevi, aprivi il frigorifero, cucinavi, facevi la spesa, andavi a letto.
Dopo il terremoto non hai dove andare in bagno, non puoi cucinare, il mercato è sospeso, il forno è chiuso e l’intimità della casa non esiste più. Tutto quello che era normale non ce l’hai più.
Magari, come ha fatto gran parte di noi se hai ancora la macchina ci dormi dentro qualche notte. La notte seguente il terremoto si mise anche a piovere. La macchina è il tuo unico tetto. Ci dormi, avvolto in qualche coperta, con la famiglia… in attesa della tenda della protezione civile o del prefabbricato.
Ma può capitare che perdi anche la macchina o che questa resti incastrata dentro il garage ….

Ma se il terremoto ha provocato crolli, oltre a tutto questo, devi anche provvedere a estrarre i feriti dalle macerie, devi seppellire i morti, devi provvedere al cibo, al vestito, … non puoi aspettare i soccorsi.
La vita è sconvolta.
Cinquemila, furono nella sola Augusta i senzatetto veri. Quindicimila, tra veri e presunti, nelle tre province dichiarate terremotate.
Nella disgrazia la sorte ci fu propizia: il “progresso”, cioè l’industrializzazione, aveva consentito a tanti Augustani di possedere una seconda casa in campagna o al mare: costituirono l’immediata soluzione al problema di tanti senzatetto. Poi c’erano degli alberghi: questi furono “requisiti” dal sindaco e vi furono allocati complessivamente circa duemila senzatetto. In 24 ore avevano trovato una soluzione alla mancanza della casa. Il dramma era più evidente, invece, per la fascia povera della popolazione: gran parte delle case popolari erano inagibili. Li vicino, ancora incompleto, c’era il “tensostatico”. Avrebbe dovuto ospitare le manifestazioni sportive. La polizia tranciò i lucchetti e la gente vi si riversò: divenne un enorme dormitorio anche se promiscuo. Gli altri si accomodarono presso parenti e amici. Nella disgrazia “a casa capi quantu vuoli u patruni”.
All’interno del tensostatico, tre settimane dopo il sisma, svanita la paura della seconda scossa, il prof. Boschi ed altri scienziati, parlarono del terremoto ad una assemblea di oltre seimila persone. (probabilmente sarà stata l’assemblea più affollata della storia d’Italia, dopo un terremoto).
A Carlentini, a Melilli, a Lentini, dopo alcuni giorni furono allestite le tendopoli: ad Augusta non ce ne fu bisogno.
La protezione civile, qualche giorno dopo fornì qualche decina di roulottes che popolarono le campagne di Augusta.
Nella zona industriale Augusta-Priolo c’era un’azienda attrezzata nella fornitura di migliaia di pasti: senza aspettare alcuna risposta dallo stato l’amministrazione locale, in attesa dell’arrivo delle cucine da campo dell’esercito, la fece intervenire nello stesso giorno del terremoto. Lo stato era ancora assente, ma soprattutto silente. Augusta faceva fronte, da sola, all’assenza dello stato.
01 ottobre 2009
Sac. Prisutto Palmiro
(continua)

sabato 1 agosto 2009

IL TERREMOTO TI FERISCE LA BUROCRAZIA TI UCCIDE




Se il terremoto riesce solo a ferirti allora ti uccide la burocrazia.

Sono trascorsi “solo” 19 anni e 8 mesi dal terremoto del 1990.
Nell’anno 2000, dieci anni dopo il terremoto, quattro anni dopo “l’interessamento diretto” del Presidente della Repubblica Scalfaro riguardo alla ricostruzione post-terremoto in Sicilia, il Santuario della Madonna dell’Adonai di Brucoli vedeva il primo intervento (la messa in sicurezza). Solitamente la “messa in sicurezza” è un intervento chi si fa d’urgenza poche ore o pochi giorni dopo il sisma. L’allora Genio civile di Siracusa, sempre nel 2000) fece rifare interamente il tetto del santuario, fece puntellare la chiesa e la sagrestia del Santuario Adonai in attesa del restauro definitivo. L’Italia, ormai lo sappiamo bene è l’unico paese “civile" in cui il provvisorio diventa definitivo; l’Italia è l’unico paese civile dove la rassegnazione dei cittadini è l’unica risposta alla lontananza delle istituzioni; l’Italia è l’unico paese civile al mondo in cui al cittadino che chiede il rispetto del diritto o non si risponde affatto oppure si aspetta che questo si stanchi e desista dalle sue iniziative.
Se poi si ha la sfortuna di vivere nel sud, ed in Sicilia in particolare, allora puoi aspettare decenni (vedi Belice) o secoli (Messina).
La Sicilia è la Sicilia (non è il Friuli, non è l’Umbria, non è il Molise nè l’Abruzzo): qui, i tempi della ricostruzione post terremoto non possono essere uguali a quelli delle altre regioni italiane: Messina, il Belice, Augusta, S. Venerina, solo per citare le ferite ancora aperte, attendono e potranno attendere non sappiamo quanto.
A Brucoli, il terremoto del 1990 provocò danni ad edifici privati, ad edifici storici (chiesa di San Nicola e Santuario Adonai), ad edifici pubblici (stazione ferroviaria). A quest’ultima toccò in sorte non di essere ricostruita, ma addirittura di essere demolita per sempre ed essere perfino abolita.
A Brucoli gli edifici privati furono riparati dopo qualche anno, mentre per le chiese i tempi hanno superato abbondantemente il decennio: la chiesa di San Nicola a Brucoli è stata riaperta definitivamente solo quattordici anni e undici mesi dopo il sisma.
Il Santuario della Madonna di Adonai invece ha una storia diversa: uscì totalmente indenne dall’immane terremoto dell’11 gennaio 1693; resistette bene al terremoto dell’11 gennaio 1848; rimase “ferito” in quello del 13 dicembre 1990. Oggi, quasi vent’anni dopo il sisma e dopo 17 mesi di lavoro per il restauro è ancora chiuso. Il collaudo è iniziato solo tredici mesi dalla fine dei lavori ed è ancora “in corso”. Probabilmente i tempi del collaudo saranno più lunghi del tempo dei lavori effettivi di restauro. Ma per fortuna – non per i siciliani – per 20.000 superstiti dell’ultimo terremoto “italiano” (l’Abruzzo) le case saranno pronte ed abitate entro sei mesi; quindicimila terremotati siciliani del 1990 hanno dovuto attendere un decennio ed alcuni addirittura diciassette anni: per restauro del Santuario di Brucoli fino ad oggi sta battendo ogni record: non sono i lavori (per’altro già “finiti”) a tenerlo chiuso ma la burocrazia.
Il record lo batteranno senz’altro due altri edifici di Augusta ancora terremotati: il palazzo comunale di Augusta e la chiesa del cimitero: l’uno perché avrà bisogno di altri finanziamenti per essere completato e l’altra perché dopo il puntellamento dei giorni successivi al sisma fu veramente “dimenticata”. A quasi vent’anni dal terremoto nessun altro intervento.
Personalmente di terremoti accaduti in Italia e in Sicilia, nell’arco della mia vita, ne ricordo molti: oltre quelli già citati mi ricordo del terremoto di Patti, di Zafferana, di Mazara, di Pollina, di Palermo. (Probabilmente molti siciliani li hanno già dimenticati, ma solo per non averli vissuti). Chi un terremoto l’ha vissuto e rimane terremotato per quasi vent’anni non può dimenticare. E diventa inevitabile confrontare il proprio terremoto con quello degli altri.
Sempre (e subito) dopo ogni terremoto si è parlato di ricostruzione (e solidarietà fin quando i riflettori dei media rimangono accesi) e, sempre con i soliti medesimi aggettivi: rapida, trasparente, intelligente, mirata, ecc….
In questi due decenni, considerati i risultati, di questi aggettivi il significato è cambiato o è da cambiare:
la rapidità è stata quella dei tecnici di accaparrarsi i progetti di restauro con relativi oneri ed onori;
la trasparenza è stata quella di “non far vedere” (=non eseguire) la ricostruzione per anni;
l’intelligenza è stata quella di portare le cose alle lunghe quanto più è possibile;
la “mira” è stata quella di burocratizzare al massimo la ricostruzione al fine di gonfiare le spese e di esasperare i terremotati con l’unico scopo di farli diventare utili elettori, non per una ma per quattro, cinque ed anche più legislature.
Intanto per l’ultimo terremoto italiano il premier ha “profetizzato” che la ricostruzione avverrà nell’arco di una sola legislatura. Il mio pensiero l’ho già espresso. Chissà cosa ne pensano gli altri terremotati d’Italia che aspettano da decenni.
Immagino che a Messina, nel Belice e in Irpinia, anche se la terra non trema più, quando si sente la parola ricostruzione ancora una volta il cuore dei terremotati frema di una rabbia più che giusta.
A questo, purtroppo, dobbiamo aggiungere il fatto che, ormai in Italia, ogni forma di protesta “sensibile” è stata criminalizzata, mentre al contrario chi costringe i cittadini a protestare (e spesso sono le stesse istituzioni dello stato) è addirittura lautamente stipendiato.
E’ probabile che anche questa lettera non ottenga risposta.
E allora? ….. siamo veramente in Italia!
Brucoli, 1° agosto 2009
Sac. Prisutto Palmiro






giovedì 23 luglio 2009

On. Berlusconi, un piccolo miracolo per me


Entro novembre ventimila terremotati avranno una casa e vi troveranno anche il frigo e le provviste ….

Egregio Sig. Berlusconi,
in occasione di tutte le passate elezioni nella buca delle lettere di casa mia ho trovato numerose lettere che la S. V. mi ha inviato.
Qualcuna l’ho letta, altre le ho messe di lato, qualche altra l’ho cestinata.
Stavolta le scrivo io, cittadino qualunque di un’altra zona (forse) d’Italia.
Lei di lettere ne ha spedite a milioni di italiani, gratis,naturalmente.
Io ieri per spedire due raccomandate (una al capo dello Stato e l’altra al suo capo della Protezione civile) ho speso appena …. 22 euro.
Non so se avrà il tempo di leggere questa lettera, considerati i suoi infiniti impegni, ma non sarebbe un buon segno se questa mia lettera rimanesse senza risposte adeguate.

Il sottoscritto un terremoto lo ha vissuto, ma in modo totalmente diverso da quello dell’Aquila.
Ho raccolto – tramite internet - alcune delle sue esternazioni in merito al terremoto dell’Abruzzo e voglio compararle con il mio terremoto avvenuto il 13 dicembre 1990.

35 ore dopo il sisma,
(Berlusconi) invita la popolazione ''a non tornare nelle case per il rischio di nuove scosse''. Poi la promessa agli sfollati: "Non vi lasceremo soli, la ricostruzione sarà rapida".

A noi, mentre tutti gli organi di informazione diffondevano notizie non veritiere sul terremoto, mentre il Ministro della Protezione civile Lattanzio e la comunità scientifica tacevano sulla eventuale replica del terremoto, venne detto di stare tranquilli e di rientrare nelle case, ma i soccorsi arrivarono solo dopo la seconda scossa.
Ancor prima della seconda scossa (16 dicembre 1990) si cominciò a parlare di rapida e trasparente ricostruzione e che non saremmo stati lasciati soli.
Una settimana dopo il terremoto già si parlava di terremoto “dimenticato”. Come era stata dimenticata la solidarietà. Iniziarono le pratiche della ricostruzione che fu così “trasparente” che per sette anni dopo il terremoto non si vide. Ma fummo costretti a fare le barricate per quasi un anno per avere riconosciuto il diritto alla ricostruzione.


TERREMOTO: 19 giugno 2009 ENTRO SETTEMBRE 91 CASE IN LEGNO PER ONNA

Stabilire i tempi da chi dipende? Dalla “buona” volontà del Premier? Dal rispetto delle leggi? Dalla cura della propria immagine politica? Dal diritto dei cittadini di fronte alla calamità? Le case di latta (il campo conteiner di Augusta è stato smantellato solo due anni fa, 17 anni dopo il sisma.
Appena ieri (22 luglio 2009) la S. V. ha dichiarato:

“stiamo realizzando un miracolo”
Entro novembre 20mila senza tetto dell'Aquila avranno una casa.
"nessuno al mondo" sarebbe riuscito in una tale impresa.
Questo e' un miracolo perche' in Cina, dove c'e' stato un terremoto, sono ancora nelle tendopoli e nelle baraccopoli''

Mi permetta, signor presidente del Consiglio: io sono un credente, ma ritengo che i “miracoli” li sa fare solo “LUI”.
E se a questo la S. V. ha aggiunto che “nessuno al mondo sarebbe riuscito a …..” o mi trovo alla presenza di Dio oppure ….. ci sono vari modi di agire a livello umano, dove talune persone o istituzioni che non fanno quello che dovrebbero fare. (Perché non si fa aiutare dal ministro Brunetta?)
La S. V. ha citato l’esempio della Cina, dove le popolazioni terremotate sono ancora sotto le tende. Nel nostro caso, nel terremoto del 1990, nei nostri riguardi, vuol dire la civile e progredita Italia si è comportata come la Cina arretrata di oggi.

«Per la ricostruzione generale dell’Abruzzo sarà impiegata una cifra pari a quella del ponte sullo Stretto e cioè più di 7 miliardi».
Il governo ha intenzione di completare entro la legislatura i lavori di ricostruzione dell'Abruzzo colpito dal sisma del 6 aprile scorso


Messina, più di cento anni fa, subì anch’essa il cataclisma del terremoto: erano altri tempi ma il sig. Giolitti, suo predecessore, non capì subito che c’erano stati centomila morti e due città interamente distrutte. Per caso il suo governo ha mai pensato alla baracche di Messina? Anziché spendere 7 miliardi di euro per il ponte non sarebbe stato più onesto – anche politicamente- far sparire questa vergogna che già investe sia il Regno d’Italia sia la Repubblica italiana?
La S. V. già profetizza che entro la legislatura sarà completata la ricostruzione. Per la mia ricostruzione di legislature ne sono passate più di quattro e nella stessa legislatura del tempo del terremoto della Sicilia qualcuno parlò addirittura di terremoto “inventato”.

09/04/2009 – Dividere in 100 i progetti della ricostruzione e affidarne la responsabilità a ciascuna delle province italiane


Su questo mi consenta di dissentire, egregio Sig. Berlusconi.
Siamo stati, nel 1990, gli unici terremotati d’Italia nei cui confronti non ci fu alcuna gara di solidarietà.
Forse noi siamo stati “gemellati” con la Cina.


22/07/2009 - 17.30
RICOSTRUZIONE ABRUZZO: BERLUSCONI, NUOVE CASE A PARTIRE DAL 15 SETTEMBRE

ROMA, 22 LUG - Entro novembre 20mila senza tetto dell'Aquila avranno una casa.
16 luglio 2009apcom
Sisma Abruzzo; Berlusconi:Ricostruzione avanti su tempi previsti Tutte le case saranno consegnate entro novembre
Roma, 16 lug. (Apcom) - "Siamo in grado di rispettare i tempi, abbiamo la ragionevole previsione di consegnare tutte le case entro la fine di novembre". Lo ha detto il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, durante una conferenza stampa nella Scuola della Guardia di Finanza di Coppito. Il premier ha anche osservato che i "cantieri aperti sono in anticipo di quattro giorni" sulla tabella di marcia, e quindi "siamo in anticipo con i tempi che erano considerati folli dagli esperti del settore".

Mi scusi la confusione mentale, Sig. Berlusconi: settembre o novembre (ma di quale anno?).
Mi viene in mente un antico proverbio: “ tra il dire e il fare ….”
Mi auguro che riesca a mantenere fede alle promesse, ma per “giustizia” non si possono lasciare indietro quelli che già aspettano da anni il diritto alla casa.

Sisma Abruzzo; Berlusconi:Ricostruzione avanti su tempi previsti

Durante i lavori di una ricostruzione post terremoto in Sicilia mi disse le stesse parole un funzionario locale della Protezione civile: era l’anno 2007. Entro due mesi avverrà la consegna.
Bene: siamo nel luglio 2009. Non ci è stato consegnato niente: giochiamo alla “burocrazia”. Ci vuole il collaudo, e poi il collaudo del collaudo, e poi il collaudo del collaudo del collaudo e poi …..

On. Berlusconi, sono passati OLTRE DICIANNOVE ANNI da quel terremoto.


venerdì 10 luglio 2009 15:04
L'AQUILA (Reuters) - Il governo ha intenzione di completare entro la legislatura i lavori di ricostruzione dell'Abruzzo colpito dal sisma del 6 aprile scorso.
Lo ha garantito il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, in una conferenza stampa a conclusione dei lavori del G8 che si è tenuto nei luoghi colpiti dal terremoto.
Abbiamo spostato il G8 a L’Aquila per portare la solidarietà del mondo all’Abruzzo.


Qualche settimana fa c’è stato il G8 (dell’ambiente) a Siracusa, dove una sua “fan” una certa Stefania Prestigiacomo, non ha portato affatto la solidarietà dei grandi alle popolazioni colpite dall’inquinamento della Provincia di Siracusa.
Chiara scelta politica


…. durante una conferenza stampa nella Scuola della Guardia di Finanza di Coppito. Il premier ha anche osservato che i "cantieri aperti sono in anticipo di quattro giorni" sulla tabella di marcia, e quindi "siamo in anticipo con i tempi che erano considerati folli dagli esperti del settore".
(IRIS) - L'AQUILA, 8 LUG - ''Entro la fine dell'anno faremo un nuovo G8 per vedere gli ultimi sistemi piu' avanzati tecnologicamente per affrontare le calamita' naturali''. Vertice che dovrebbe tenersi nuovamente all' Aquila. Lo ha annunciato il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, nel corso di una conferenza stampa. Il premier ha poi spiegato che per la ricostruzione dell'Aquila ci vorranno ''dai 3 ai 5 anni''. .

Se in Abruzzo siete in anticipo qui siamo in ritardo. Forse perché L’Aquila si trova a 100 chilometri da Roma e la Sicilia a 1000? Non c’è l’aereo di stato? Signor presidente del Consiglio, venga a vedere. In Italia non c’è solo l’Abruzzo. E’ folle pensare che in Abruzzo la ricostruzione si possa realizzare in tre o cinque anni mentre in Sicilia possono passare quasi vent’anni.

Considerato che la zona in cui vivo è la zona più sismica e più pericolosa d’Italia quel G8 di cui ha parlato perché non si potrebbe tenere ad Augusta?

Mi scusi la “supplica” Sig. Berlusconi: non potrebbe fare un “piccolo miracolo” anche per me?
“Finiti i lavori di restauro” (di un edificio storico terremotato) già il 2 maggio 2008 alla data del 23 luglio 2009 il collaudo deve ancora aspettare i tempi della burocrazia?
Distinti saluti.
Brucoli, 23 luglio 2009
Sac. Prisutto Palmiro

0931-981313 – 347197957
palpri@libero.it



lunedì 20 luglio 2009

nelle mani di un carnefice chiamato burocrazia




Egregio Presidente,
quando dalle istituzioni mi viene detto: “Caro Padre, le cose in Italia vanno così”, provo vergogna di essere italiano.
Se poi vedo presidente della repubblica, il capo del governo e il capo della protezione civile fare la spola tra l’Aquila e Roma, dove si promettono rapidissime e totali ricostruzioni, mentre qui ancora attendiamo dal 1990, mi sento insultato.
Dopo il terremoto dell’Abruzzo, ripensando a quello che io ho passato ho detto: “In Italia, dopo il terremoto, lo stato ti consegna nelle mani di un carnefice chiamato burocrazia.
Da quel momento, seppelliti i morti e sistemati alla meno peggio i superstiti, per le istituzioni dello stato, diventi il numero di un fascicolo, uno dei tanti. Chi dovrebbe venirti incontro per mitigare il tuo disagio e la tua sofferenza, pensa solo al suo stipendio o alle parcelle da incassare, alle norme della burocrazia da rispettare. Si pensa solo a mettere a posto le carte e tu attendi, aspetti anni, o meglio, quasi due decenni.
Egregio presidente, il mio ultimo rapporto epistolare con lei risale al 26 gennaio 1998 mentre lei esercitava il ruolo di Ministro degli interni.
Avevo scritto all’allora presidente della repubblica Scalfaro, per protestare contro i ritardi della ricostruzione post terremoto del 1990. L’avevo “costretto” a venire in Sicilia (Siracusa e Noto 11 maggio 1996) con una lunga serie di proteste alle quali, suo malgrado, ha dovuto istituzionalmente dare seguito.
Ciononostante la burocrazia appariva e appare imbattibile.
Nella mia ultima lettera inviata a Lei ed a Scalfaro, chiedevo di rinunciare alla cittadinanza italiana per come lo stato aveva trattato noi Siciliani dopo il sisma del 1990. Chissà se anche lei è uno di quei tantissimi italiani che di questo “mio” terremoto non si ricorda nulla. In una lettera precedente, restituendo carta d’identità e passaporto, preannunciavo anche la decisione che non sarei mai più andato a votare fino a quando non avrei visto sparire l’ultima transenna che mi ricordava il terremoto del 1990.
Ebbene il terremoto del 1990, ad Augusta, è ancor oggi visibile, nonostante sia stato “invisibile” per l’Italia.
Dal 1997 non sono andato più a votare. “Ho trasgredito questa decisione una sola volta nelle ultime elezioni comunali” per tentare di arginare il disastro che stava per abbattersi su Augusta.
Spesso ho ricevuto le lettere pubblicitarie del presidente del consiglio, dei vari candidati a tutti i livelli: erano spesso le stesse persone a cui avevo scritto ma che non mi avevano mai risposto: ovviamente i miei problemi a loro non interessavano, il mio voto sì. Che vergogna!

Egregio presidente, dopo la tragedia dell’Abruzzo, mi sono sentito sempre meno italiano:
Nell’elenco dei terremoti d’Italia quello siciliano non è stato citato;
ai funerali delle vittime del terremoto del 1990 nessuna autorità dello stato fu presente;
nessuna forma di solidarietà ci venne manifestata;
ci venne negata perfino la dichiarazione dello stato di calamità naturale;
per avere la legge sulla ricostruzione fummo costretti a fare le barricate.

In Abruzzo avete abbondato di promesse che suonano come un insulto a chi attende la ricostruzione da quasi vent’anni:
a settembre avrete le case….
In sei mesi la ricostruzione ….
Ebbene nel mio caso di terremotato del 1990 ultimati i lavori di ricostruzione di un’antica chiesa – che di terremoti nella sua storia ne ha subiti tre - (sopravvissuta perfino al terremoto del 1693) attendiamo da 14 mesi il collaudo e il collaudo del collaudo.
Mentre in Abruzzo si recuperano col setaccio perfino i più piccoli frammenti degli affreschi per non perdere la memoria storica, nel restauro del Santuario dell’Adonai di Brucoli (almeno 5 secoli di storia) chi ha “gestito” il progetto ha cancellato anche consistenti parti storiche del monumento.
I lavori che dovevano concludersi in 365 giorni sono durati 2 anni e sei mesi;
la somma stanziata e rimodulata per la ricostruzione (un milione e 150.000 euro – due miliardi e trecento milioni delle vecchie lire ottenuti con le barricate del 1991-) non è bastata a completarla.
Avevamo consegnato un antico santuario (chiesa del 1500 e annesso convento) – ma ancora non ci è stato restituito -
Ce lo vorrebbero restituire sfregiato, mutilato, irriconoscibile.
Bondi, Ministro dei beni culturali non ci ha risposto.
Il ministro Brunetta, potrebbe anche interessarsi del caso, se è veramente esperto nella ricerca dei “fannulloni”.
Le vecchie masserie locali, trasformate oggi in agriturismi o bed&breakfast, sono senza dubbio più belle a vedersi.
Tutto questo grazie alla protezione civile, alla sovrintendenza, e a chi ha diretto i lavori.
Egregio presidente, non dovrebbero esistere terremotati di serie A e di serie B.
Non posso tollerare che in certi luoghi sol perché sono a 100 chilometri da Roma ci si vada due, tre, dieci, diciassette volte e gli altri che si trovano a 1000 chilometri di distanza, ma sempre in Italia, nessuno ci debba venire mai.
Non farò altre petizioni: l’ultima di queste rivolta al suo predecessore nel settembre 2005, con 2500 firme di maggiorenni che invitavano Ciampi a visitare Augusta (30 chilometri da Siracusa) non ha ottenuto attenzione.
Un altro suo predecessore, Cossiga, gennaio 1991, non si degnò neanche di venire a visitare le tendopoli dei terremotati del 1990. Il suo elicottero avrebbe impiegato solo pochi minuti per compiere una doverosa sosta tra i terremotati. La sua venuta in Sicilia era solo una passerella.
Questa è l’Italia che io ho conosciuto. L’Italia che mi ha ferito e a cui mi vergogno di appartenere.
Presidente perché non viene lei ad Augusta? Forse anche lei ha paura?
Distinti saluti.
Augusta, 20 luglio 2009
Sac. Prisutto Palmiro

http://palmiroprisutto.blogspot.com/
http://terremotodeisilenzi.blogspot.com/


AL SIGNOR MINISTRO DEGLI INTERNI
e p. c.
AL SIGNOR PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA ITALIANA

ho deciso, dopo aver attentamente valutato i fatti, di rinunciare alla cittadinanza italiana.
E' stata una decisione sofferta, ma necessaria.
Nelle lettere del 27 ottobre 1997 e del 8 gennaio 1998 indirizzate al Signor Presidente della Repubblica (al quale ho inviato i miei documenti d'identità personali) ho ampiamente spiegato i motivi di questa mia decisione che ritengo definitiva e irrevocabile.
Per il momento non intendo avvalermi del diritto di presentare richiesta di cittadinanza presso altri Paesi.
Chiedo pertanto alla S. V. di voler avviare le procedure per formalizzare la richiesta di rinunzia alla cittadinanza italiana e di volermi illustrare dettagliatamente le conseguenze derivanti dalla mia decisione e di voler informare contemporaneamente sia la Prefettura di Siracusa sia il Comune di Augusta.
Resto in attesa di una sollecita risposta.
Distinti saluti.
Brucoli, 26 gennaio 1998

Sac. Prisutto Palmiro

sabato 11 luglio 2009

SOLDARIETA' E RICOSTRUZIONE




Col G8 abbiamo portato la solidarietà del mondo all’Abruzzo colpito dal terremoto.
Entro settembre (è stato specificato l’anno?) i terremotati avranno una casa.

Solidarietà e ricostruzione.

Sono due parole che mi feriscono ancora, benché dal terremoto del 13 dicembre 1990 siano passati ben 19 anni.
Anche se talune istituzioni si potrebbero sentire offese dalle mie dichiarazioni la verità è questa: di fronte alle calamità naturali non siamo tutti “fratelli d’Italia”, e con l’avvento della Lega ancora di più.
E se a qualche altro potrebbe “dispiacere” c’è un’altra verità scomoda da ricordare: dopo il terremoto o la calamità, spenti i riflettori dei mezzi d’informazione, lo stato ti abbandona nelle mani di un carnefice chiamato burocrazia.
Le calamità avvengono in pochi secondi o minuti: la sofferenza del “dopo-disastro” te la puoi portare avanti per anni o decenni. Ai funzionari del ministero la tua sofferenza non importa: diventi solo il numero di una pratica, di un fascicolo.
Due sono le forme di sofferenza grave del “mio” territorio: una dura da oltre mezzo secolo (è il disastro ambientale); l’altra è quella di aver visto l’incapacità dello Stato - e della Regione Sicilia in particolare –
riguardo alla gestione del dopo terremoto del 1990.
Probabilmente il mio cognome e nome, sulla stampa in particolare – e in internet -, sono legati non tanto al ruolo di prete o di parroco, ma alle vicende socio-ambientali del mio territorio.
Prima ancora del terremoto del 90 mi sono trovato in prima linea sulla questione “salvaguardia del creato”, sicurezza e rischi civili e, mentre aspettavamo l’intervento dello stato per dare sicurezza a questo territorio, è arrivato perfino il terremoto, di fronte al quale lo stato italiano non solo è “fuggito”, ma addirittura ha nascosto tante cose.
Non mi riferisco solo alla “fuga” vera e propria dell’allora ministro per la protezione civile Lattanzio, ma di tutte le istituzioni dello Stato che non furono neanche fisicamente presenti ai funerali delle vittime del terremoto, ma anche al fatto che non ci venne concesso neanche il diritto alla solidarietà.
Solidarietà e ricostruzione:
non mi ricordo, nei giorni seguenti il “mio” terremoto, di partite del cuore, di una tantum per la ricostruzione, di ritocchi del prezzo della benzina per i terremotati, di visite di uomini illustri o potenti, (questi cominciarono a venire alla spicciolata, in forma privata - e rapida - il mese dopo) quando si già si percepiva nettamente l’abbandono dello stato, quando già erano frequenti le manifestazioni di protesta.
È l’unico caso, che io ricordi, nella storia della repubblica italiana, in cui – di fronte a un sisma che aveva provocato 17 morti e 15.000 senzatetto (41 i comuni “toccati” dal sisma in tre province)-, non venne dichiarato lo “stato di calamità naturale” perché …. “non ce n’erano le condizioni”.
“Terremotati e gabbati” sino alla fine di ottobre 1991, quando dopo alcuni giorni consecutivi di fortissime proteste venne tolta l’ultima barricata che isolava Siracusa. Fino a quella data, secondo la servile informazione nazionale, noi siciliani “piagnoni” ci eravamo “inventati” perfino il terremoto per vivere di assistenzialismo.
In realtà era la zona colpita dal sisma che “assisteva” l’erario statale con un gettito stimato allora in 24.000 miliardi di lire (12 miliardi di euro attuali), e che soffriva per le conseguenze di un inquinamento pluridecennale che aveva ferito profondamente persone e territorio.
In segno di “solidarietà” (molto tardiva, ma strappata a forza) il 31 dicembre 1991 venne varata la legge 433/91 quella che finalmente finanziava la ricostruzione della zona terremotata.
3870 miliardi di vecchie lire …… ma in sei anni!
Se poi gli anni effettivi per la ricostruzione sono diventati 14, 15, 19 …. La colpa di chi è? Non certamente dei terremotati. Ad Augusta, epicentro del terremoto del 1990, nel 2009, attende la fine della ricostruzione il palazzo municipale; ad Augusta, dove il terremoto per fortuna o per disgrazia, non provocò nessun morto basta recarsi nella chiesa del cimitero per “ammirare” ciò che provocò il sisma del 13 dicembre 1990. Nessun intervento, se non il “provvisorio” puntellamento dall’anno del terremoto. La piccola chiesa del cimitero di Augusta probabilmente per il suo restauro avrà bisogno di molti più soldi della basilica di Assisi o della cattedrale de L’Aquila. Ecco perché non la si ricostruisce.
Perché per i terremotati dell’Umbria (1997) la legge sulla ricostruzione venne approvata solo dopo 4 mesi?
Lì i riflettori si accesero subito e rimasero accesi per lungo tempo ed anche la macchina della solidarietà si mise in moto a pieno ritmo.
Perché al Molise il presidente del consiglio promise la ricostruzione in due anni dimenticandosi dei terremotati di S. Venerina in Sicilia?
Perché nel recente terremoto d’Abruzzo, il presidente del consiglio, vi si è recato già una dozzina di volte?
Perché questo presidente del consiglio è così prodigo di sorrisi e promesse nei confronti degli abruzzesi?
Perché il G8 si è tenuto a L’Aquila?
Perché così i terremotati abruzzesi avrebbero avuto più solidarietà.
A settembre avrete una casa!!! Ma per costruire, secondo legge, non ci vogliono i tempi della burocrazia?
A volte, ma solo in certi luoghi, e con l’intervento diretto di le fa (magari ad personam) le leggi si possono scavalcare: gli altri aspettino. Anche anni se non sei subito un … utile elettore.
A chi scrive le stesse istituzioni che altrove annunciano tempi brevi stanno facendo aspettare da oltre solo 14 mesi il collaudo di un edificio sacro (Santuario Adonai di Brucoli) già “finito”, ma solo diciannove anni ….. dopo il terremoto.
Non riesco proprio a vedere in che cosa siamo “fratelli d’Italia” dopo il terremoto.
L’Abruzzo non è la Sicilia. Si trova a soli 100 km da Roma. È più facile da raggiungere per tutti i politici, presidente del consiglio in testa: una veloce puntatina, pranzo (non pagato) con i terremotati, promesse e … via.
Forse perché in Abruzzo c’è uno scenario ambientale totalmente diverso da quello della zona nord di Siracusa, epicentro del sisma del 1990.
Qui ci sono decine di stabilimenti inquinanti e pericolosi: qui è pericoloso viverci, è rischioso passarci anche di sfuggita: non ci sono passati neanche quelli del G8 della Prestigiacomo (una gita nella sua azienda di famiglia avrebbe accresciuto certamente il suo prestigio); non ci passò neanche Ciampi quando venne a inaugurare la targa in cui si dichiarava Pantalica “patrimonio dell’umanità”; non ci venne neanche Cossiga dopo il terremoto del 1990.
Solidarietà? Dopo il terremoto del 1990 l’atteggiamento dello stato italiano fu peggio di una pugnalata alla schiena di uno già ferito. Nessuna solidarietà ai Siciliani terremotati. E neanche informazione all’Italia. Tant’è vero che questo terremoto non lo ricorda più nessuno neanche all’Istituto nazionale di Geofisica.
I riflettori qui avrebbero sicuramente illuminato qualcosa che invece bisognava nascondere.
Anche ad Augusta si parlò di … Ricostruzione veloce, trasparente: nel senso che non si vide. Questa poteva e può ancora aspettare.
In compenso, oggi, qui, parliamo di ….. costruzione - rapida -, ma di altri impianti a rischio in una zona a rischio: termovalorizzatore e rigassificatore: in zona sismica di primo grado! Quello che già c’è non era sufficiente? Di sicuro il numero di morti di cancro, di bambini malformati, di aborti terapeutici o spontanei, di morti e feriti negli incidenti sul lavoro nell’area Augusta-Priolo, è certamente più alto di quello di tutti i terremoti accaduti nel territorio italiano dopo il 1990.
Chiedo a tutti coloro che sulla stampa, in televisione, usano le parole “solidarietà e ricostruzione” di ricordarsi che in un’altra zona d’italia (stavolta, ricordandomi del giovane Alessandro Manzoni lo scrivo appositamente minuscolo) queste due parole offendono e feriscono la coscienza di altri cittadini terremotati da tempo, a cui nessuno vuol dare ascolto solo perché hanno la colpa di non vivere a 100 chilometri da roma. A mille chilometri di distanza fare le passerelle è più difficile e più scomodo. Anche per chi ha a disposizione l’aereo di stato, e può trasportare gratis chi vuole.
Se poi magari qualche giornalista volesse venire, dovrebbe farlo in fretta, perché al proprio giornale, le trasferte in Sicilia costano. E poi diciamolo chiaramente: a quale grande testata giornalistica possono interessare i problemi di questa parte della Sicilia visto che solitamente queste hanno la loro sede nel centro nord dell’Italia come le sedi legali delle aziende del petrolchimico siracusano?
Augusta, 11 luglio 2009
Sac. Prisutto Palmiro
palpri2@hotmail.it

domenica 5 luglio 2009

DOPO LA TRAGEDIA DI VIAREGGIO

La tragedia di Viareggio: incidente industriale “a distanza”.

Una tragedia come questa probabilmente nessuno se l’aspettava, né tantomeno gli abitanti di Viareggio.
Si poteva pensare a una tragedia così solo nelle aree industriali a rischio di incidente rilevante, dove i piani di protezione civile ed il PEE (=PIANO PER L’EMERGENZA ESTERNA) dovrebbero essere obbligatori. Viareggio sicuramente non risulta essere uno di quei comuni a rischio. Ha basato la sua economia sul turismo, sul carnevale, su attività sicure: eppure è rimasta vittima, secondo me, “non di un disastro ferroviario, ma di un disastro industriale …. a distanza”.
Ma come si sa, nel “belpaese”, con il senno di poi si risolve tutto. Ma prima deve accadere il disastro con morti, feriti e danni, altrimenti non è successo nulla.
A pochi metri (non più di 25) dalla mia scuola c’è la ferrovia, dove transitano treni come quelli del disastro di Viareggio. Ai miei alunni l’ho detto tante volte: quelle sono “bombe viaggianti”. Ormai la scuola è finita, ma sono certo che l’anno prossimo, il primo giorno di scuola, quando passerà un altro treno come questo, che farà tremare vetri e pavimenti, i miei alunni penseranno sicuramente più che alle mie parole al disastro del 29 giugno 2009.
C’è anche un’altra scuola dall’altro lato della ferrovia, ancora più vicina. Forse al prossimo anno scolastico qualcuno se ne ricorderà.
Ma la ferrovia passa, come a Viareggio, accanto (meno di dieci metri) ai palazzi a 5 piani, addossati l’uno all’altro per centinaia di metri. Basterebbe il semplice deragliamento di un normalissimo treno per provocare una strage.
Ma su questa ferrovia, a binario unico, da Messina a Siracusa, (esempio di progresso e sviluppo nel meridione) passano tutti i tipi di treni: si discuterà per settimane se un treno carico di sostanze pericolose debba transitare attraverso un centro abitato (specie dopo la sciagura di Viareggio) ma da almeno trenta anni ed oltre nessuno discute o si preoccupa più di tanto di quel che qui accade: i treni passeggeri da Augusta per andare verso Siracusa debbono attraversare necessariamente quasi 15 chilometri di stabilimenti chimici e petrolchimici della Sasol, della Esso, dell’Enichem, dell’Erg della dismessa famigerata e letale Eternit. Vale a dire che i passeggeri vanno mandati deliberatamente incontro al pericolo.
Paradossalmente la ferrovia passa a pochi metri anche dalle case ormai disabitate o ancora ostinatamente abitate da qualche irriducibile abitante di Marina di Melilli, il paese raso al suolo dalle ruspe perché aveva avuto la “colpa” di essere nato dove un giorno sarebbe arrivato il “progresso industriale”.
Il treno effettua una fermata anche a Priolo, il paese che anziché fare la stessa fine di Marina di Melilli - per gli stessi problemi - è stato fatto crescere invece proprio in direzione degli stabilimenti industriali, benché fosse già in vigore la “direttiva Seveso”. Questa legge recepita anche dall’Europa vieta di costruire impianti pericolosi vicino alle case, ma non vieta di costruire case vicino agli impianti pericolosi!!?
Se a Viareggio possiamo parlare di un “incidente industriale a distanza” ad Augusta e Priolo possiamo senz’altro parlare di possibilità di “incidente industriale a distanza ravvicinata”, con il beneplacito di tutte le istituzioni.
Quando il 19 maggio del 1985, le 5 esplosioni e i boati dell’ICAM furono sentiti a decine di km di distanza furono gli stessi sindacati a minimizzare, e le istituzioni a dimenticare. (quell’incidente in termini giuridici è stato “archiviato” senza colpevoli perché quella domenica notte provocò “solo” - direttamente o indirettamente - due morti e cinque feriti.
Quando la notte del 13 dicembre 1990 la terra tremò in tre province Siracusa, Ragusa e Catania, collocando il suo “vero epicentro” nell’area industriale Augusta-Priolo-Melilli per sapere del disastro non si dovevano vedere i telegiornali, bisognava venire di persona ad Augusta per capire quanto era accaduto. E a Roma politici e scienziati sapevano, tacevano e, anche deliberatamente, depistavano.
Allora non c’era internet, non c’era you tube, non c’erano blog: i telefonini erano un privilegio di pochi.
Ad Augusta, la popolazione, osteggiata apertamente dalla sovrintendenza, aveva chiesto dopo il disastro dell’ICAM la costruzione di un secondo ponte per tentare di fuggire in caso di disastro.
Nel giorno del terremoto erano iniziati da pochi mesi i lavori per la costruzione del secondo ponte.
Ma ancor prima del 1985, in riferimento ai rischi, ad Augusta si chiedeva di spostare la cintura ferroviaria dal centro urbano, almeno al fine di decongestionare il traffico veicolare; si chiedeva anche con petizioni popolari e pubblici dibattiti di “delocalizzare” (= far spostare fuori del perimetro urbano il deposito costiero di carburanti (denominato Max-Com).
Incidenti industriali, perfino un terremoto di magnitudo “ufficiale” superiore a 5: tutto questo non è servito ad eliminare i fattori di rischio.
Anzi, oggi, assistiamo in pieno centro abitato – oltre al transito dei treni “bomba” - anche al transito quotidiano di decine di autobotti (altre bombe) che vanno a rifornire il deposito costiero collocato tra la stazione ferroviaria e gli edifici civili a ridosso della stazione.
Io conservo ancora la memoria di incidenti simili a quello di Viareggio: Genova, Napoli, Trieste, Trento. A questi probabilmente se ne potrebbe aggiungere un altro: Augusta-Priolo. Anche se qui tutto questo “non può mai accadere”. Chissà perché nell’ottobre 2005, nell’esercitazione “Eurosot 2005” fu ipotizzato proprio un incidente come quello di Viareggio. Era solo un’esercitazione. E, come si sa, nelle esercitazioni tutto finisce bene.
Ovviamente la Magistratura si muove sempre e solo dopo il disastro: ma quando i cittadini denunciano preventivamente? Beh, si beccano la denuncia di “procurato allarme”.
Dopo Sangiuliano di Puglia, dopo L’Aquila, (eventi naturali) perché qualche magistrato ha cercato di trovare i colpevoli tra Amministratori, tecnici o funzionari, perché hanno deciso di indagare persino sulla qualità dei materiali di costruzione? La colpa non è della Natura ma degli uomini. Un processo alla Natura non si potrebbe fare.
Ora, dopo Viareggio, un’altra indagine: con chi se la prenderanno? Staremo a vedere…..
Intanto, nel famoso “triangolo della morte”, Augusta, Priolo, Melilli, il più grande polo petrolchimico d’Europa, uno dei luoghi del mondo dove i rischi sono più concentrati (industriale, militare e sismico), gli attuali governi hanno deciso:
potenziamo il polo petrolchimico, alla polveriera già esistente e perennemente innescata, aggiungiamo anche il rigassificatore.
Poco importa se nella stessa area del petrolchimico Augusta-Priolo-Melilli si sono avuti tre terremoti del IX-X grado Mercalli e uno dell’XI senza contare quelli minori. Poco importa se nella città di Augusta di grandi tsunami (o maremoti) storicamente se ne sono contati 5 contro i 2 di Messina.
I 18 miliardi di euro del polo petrolchimico valgono sicuramente di più delle potenziali 50.000 vittime che il prossimo terremoto annunciato potrebbe provocare.
Prevenire sarà più difficile che seppellire. E come nel passato spesso insieme ai morti vengono seppellite anche le responsabilità. Tante vittime non hanno mai avuto né giustizia ne postumi riconoscimenti. Aspetto di vedere quanti politici parteciperanno in prima fila ai funerali delle vittime di Viareggio.
Non per spirito di polemica, ma il 15 dicembre 1990, in Sicilia, di fronte alle dodici bare (i morti furono in tutto 17) del terremoto del 1990 nessuna autorità dello stato fu presente. (*) E questo non lo dimenticherò mai, anche perché, quasi vent’anni dopo quel terremoto, alcune ferite sono ancora “aperte e visibili”.
E i rischi, sono ancora lì, appena dietro l’angolo. Mi auguro che non venga scritta un’altra triste pagina di storia.
Augusta, 5 luglio 2009
Sac. Prisutto Palmiro
0931.981313
Palpri2@hotmail.it

(*) si temeva una replica catastrofica

giovedì 2 luglio 2009

EUROSOT 2005 GRANDE ESERCITAZIONE GRANDE BLUFF

06 settembre 2005

La storia
Dal sisma del 1169
a quello del 1990


Dieci i terremoti superiori al VI grado Mercalli che hanno colpito Catania e la Sicilia sud-orientale a partire dall'anno Mille. Vediamoli in breve.
1169: la terra trema alle 7 del 4 febbraio. Intesità: X Mercalli. Catania rasa al suolo; migliaia le vittime. Colpito pure il resto della Sicilia orientale; tsunami a Messina.
1352: sisma del VII-VIII Mercalli il 25 di gennaio. Mancano altre informazioni.
1542: la scossa più violenta (VIII Mercalli) alle 15,15 del 10 dicembre. A Catania la terra trema per 12 secondi, ma i danni più gravi nell'area degli Iblei. Almeno 200 i morti.
1693: alle 21 del 9 gennaio scossa dell'VIII Mercalli; alle 13,30 dell'11 gennaio scossa del X Mercalli: colpita la Sicilia sud-orientale. Distruzione ovunque. I morti: circa 30 mila, di cui 12 mila a Catania.
1818: alle 18,15 del 20 febbraio (VII Mercalli) e alle 2,45 del primo marzo (VI Mercalli). Danni e crolli a Catania e in tutta l'area etnea.
1846: alle 19,45 del 22 aprile (VI Mercalli). Crolli.
1848: alle 12 dell'11 gennaio (VII Mercalli). Danni da Acireale a Siracusa.
1990: alle 0,24 del 13 dicembre (VI Mercalli). Colpita Carlentini; 12 morti.

Sempre in prima linea, dalle catastrofi ai grandi eventi
I volontari, l'anima del Dipartimento


L'anima della Protezione civile: sono i volontari, giovani e meno giovani che mettono il proprio tempo libero al servizio della comunità. Tante le sigle in Sicilia. Tutti spinti da un'unica motivazione: l'altruismo. E' dunque logico che il Dipartimento nazionale, ma anche quelli regionali, facciano leva proprio sui volontari. Sono loro i primi a partire quando avviene una catastrofe, ma anche a mobilitarsi in occasione dei grandi eventi, quando c'è da affiancare le forze dell'ordine per gestire le folle. Uno per tutti: i funerali di Papa Giovanni Paolo II. Centinaia le organizzazioni confluite a Roma, decine quelle siciliane. Ma non solo. I volontari sono chiamati in causa anche in autostrada quando si formano code chilometriche. E' quanto accaduto sabato pomeriggio sulla Messina-Catania. Il rimorchio di un Tir si ribalta in galleria, l'Anas tarda a intervenire e sono il direttore regionale della Protezione civile, Salvo Cocina, e il colonnello della Stradale Saitta (che per caso si trovano a transitare) a prendere in mano la gestione dell'emergenza. In una piazzola lì vicino c'è anche una postazione di volontari della Protezione civile: «Siamo stati allertati dalla Polstrada – racconta Pina Zingale – e in breve abbiamo organizzato una squadra di 30 volontari che fino a notte hanno alleviato le difficoltà delle migliaia di automobilisti in coda».


Alfio Di Marco

Alfio Di Marco
Catania. La più grande esercitazione internazionale di protezione civile mai realizzata: è quella che, dal 13 al 16 ottobre, il Dipartimento nazionale sta organizzando nelle province di Catania, Siracusa e Ragusa. Un test «molto importante», come lo definisce lo stesso numero uno di Via Ulpiano, Guido Bertolaso, che vedrà in campo non solo le strutture operative del Dipartimento – dalle forze dell'ordine agli operatori sanitari, dai Comuni e dalla Regione ai volontari –, ma anche squadre di pronto intervento dei Paesi dell'Unione europea, cui si affiancheranno osservatori delle Nazioni Unite e della Nato, per un totale di 500 tra tecnici ed esperti d'Oltralpe. Una quattro giorni in cui Catania sarà il cuore delle operazioni, e il cui obiettivo è la sicurezza: «Davanti alla furia della natura non possiamo farci trovare impreparati».
Del resto, l'amara lezione che l'uragano Katrina ha impartito agli Stati Uniti deve suonare come monito all'intera umanità.
«In caso di calamità – spiega Marcello Fiori, responsabile emergenze del Dipartimento di Protezione civile – il ruolo dell'informazione è decisivo. I cittadini devono sapere che vivono in un territorio a rischio, e che rispetto a questi rischi ci sono dei comportamenti che possono aiutare a salvare la vita e, comunque, essere da supporto ai soccorsi qualora fosse necessario. Non dobbiamo fare come lo struzzo. La Sicilia, il Vesuvio, il delta del Po: il nostro è un Paese bellissimo, ma pieno di rischi naturali».
«L'esercitazione – prosegue Fiori –, che ipotizza un sisma di magnitudo 6.8 (tra il 10° e l'11° Mercalli, ndr), con devastazioni, migliaia di vittime e feriti, serve anche alla Protezione civile: vogliamo testare se davvero tutte le componenti della complessa macchina, in questo caso allargata all'Europa, possano e sappiano lavorare efficacemente insieme. In Italia la Protezione civile è un sistema: non esiste un esercito che fa tutto. Ci sono le forze dell'ordine, i vigili del fuoco, la Forestale, la Sanità, il volontariato, le Regioni, il Dipartimento, per un totale di oltre 21 componenti. Allora, questi 21 componenti devono costituire un team affiatato che in caso di emergenza lavori efficacemente per l'interesse dei cittadini. Ecco perché bisogna mettersi alla prova».
Un tema quanto mai d'attualità, vista la tragedia della Louisiana...
«I rischi naturali ci sono – ribadisce Fiori –. Bisogna abituarsi a convivere con un pianeta che sempre più espone molta parte della popolazione alle sciagure. Laddove si può, come fare a prevenire? Come prevedere? Come affrontare l'evento? Parliamo dei terremoti: la scienza non è ancora in grado di prevederli. E allora, dobbiamo concentrarci sulla risposta da dare in caso di necessità. In emergenza, la priorità è una sola: agire subito. Abbiamo visto cosa è accaduto in America. Per fortuna in Italia abbiamo una linea di comando adeguata, dove si lavora non solo senza stravolgere le competenze altrui, ma coinvolgendo tutti: dal sindaco del centro più piccolo alla presidenza del Consiglio. Il nostro ruolo è quello della cabina di regia».
Ma perché proprio Catania e la Sicilia orientale?
«Perché nell'immaginario collettivo, ma anche nella realtà storica e documentale, questa è una parte del territorio nazionale che ci preoccupa moltissimo, assieme a Messina, al sud della Calabria e al Vesuvio. Sono queste le aree in cui bisogna avere il maggior livello possibile di pianificazione preventiva».
Cosa vi aspettate?
«Per la prima volta sarà testata la collaborazione di una macchina internazionale molto complessa: squadre di soccorso che giungeranno con aerei e navi da Francia, Grecia, Portogallo, Svezia e Gran Bretagna, lavoreranno fianco a fianco con i colleghi italiani. Dovrà essere adottato un sistema unico d'intervento, perché in caso di necessità non vi siano inutili perdite di tempo. Le comunicazioni, ad esempio: ricorderete cosa accadde in Irpinia dove telefoni e ponti radio saltarono e dove soccorritori e vittime rimasero isolati. Ebbene: metteremo in campo un sistema satellitare. Tutti, inoltre, adotteranno il piano di comunicazione italiano e faranno capo a una centrale operativa che impartirà le disposizioni nella nostra lingua e in inglese. Non sarà semplice: ma più ostacoli e più intoppi incontreremo e più avremo la certezza che l'esercitazione sarà riuscita».
E dalla gente cosa vi attendete?
«Una partecipazione costruttiva
: la Sicilia non dovrà stare a guardare, ma dovrà essere protagonista. Molte scuole si sono già messe a disposizione: sarà simulata l'evacuazione degli istituti, come quella degli ospedali. Il porto e di Catania come l'aeroporto saranno scenari principali. Ma non solo: tecnici e volontari simuleranno sopralluoghi nelle abitazioni e sui ponti».
Alla fine...
«Saranno tirate le somme e sarà redatto un documento con l'analisi dettagliata. Lo ripeto: la cronaca quotidiana ci insegna che bisogna essere saggi. Tutti possono avere bisogno di aiuto, anche la migliore protezione civile del mondo, anche il Paese più ricco del mondo».